Adolescenza tra social network e smarrimento

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Uno degli eventi di cronaca che ha tristemente caratterizzato le ultime settimane è quello di Nadia, ragazzina di 14 anni che si è suicidata in seguito ad alcuni insulti ricevuti sul social network “ask.fm”.

Cerchiamo innanzitutto di capire meglio cos’è questo sito:

Ask.fm (ask for me) è un social network esistente da quasi quattro anni con 70 milioni di utenti registrati, per metà minorenni. L’età minima per iscriversi è 13 anni, ma non c’è modo di controllare. L’Italia è il Paese in cui esso è più diffuso.

La sua prima differenza rispetto a Facebook, Twitter o Instagram è che per interagire non c’è bisogno di avere un profilo: basta connettersi al sito per accedere ai profili di chi c’è già. Ci si clicca sopra e si è dentro, e non solo si può leggere quello che i ragazzi scrivono o postano, ma anche porre domande anonimamente. Chi decide di iscriversi, quindi, non avrà più controllo sui contenuti che lo riguardano, specie se l’utente sincronizza il profilo con gli account di Facebook e Twitter. Facendo questo chi ci segue su ask potrà vedere ogni nostro contenuto pubblicato negli altri social.

Le domande sono il fulcro di questo social network: ogni iscritto riceve una domanda al giorno dal sistema e ne scambia con gli altri utenti. Basta un giro di bacheche per rendersi conto che le domande da generiche diventano spesso private, lambendo amore, sesso, abitudini. Attraverso le domande anonime, inoltre, si possono facilmente vincere timidezze e tentare approcci. Lo staff italiano di ask giustifica ciò dicendo che in questo modo la risposta verrà data in maniera più serena. Inoltre si può sapere quanti amici seguono il nostro profilo ma non chi sono.

L’ufficio informazioni-reclami di ask, che teoricamente dovrebbe tutelare i suoi utente, in realtà è poco disponibile ad aiutarci: ad esempio, un profilo prima di essere cancellato non deve essere utilizzato per 12 mesi, in barba alle richieste di cancellazione che richiedono un’eliminazione istantanea.

Questo social network così complesso e pericoloso è stata la principale causa che ha portato la giovane Nadia a buttarsi da un palazzo. Erano ormai diventati insopportabili gli insulti che riceveva su quel sito, posto digitale nel quale probabilmente cercava un aiuto per uscire dalle solite insicurezze e paure che caratterizzano l’adolescenza.

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Invece la realtà è stato molto diversa, poiché la rete non gli ha teso una mano per aiutarla ma ha anzi acuito la solitudine e la sua incapacità di accettarsi.

Questa vicenda, a mio parere, è anche ricollegabile al caso della ragazza di Finale Ligure che, nelle scorse settimane, dopo aver denunciato di aver quasi subito una violenza sessuale da alcuni suoi compagni di classe è stata isolata e condannata di aver “esagerato”.

Troppo spesso ci si dimentica cosa vuol dire avere 14-15 anni e più in generale vivere l’adolescenza. E’ un momento in cui è facile perdersi e trovare certezze sbagliate è dietro l’angolo. Nadia e l’altra ragazza hanno vissuto situazioni simili ma con esiti diversi: mentre purtroppo di Nadia non ci rimane che il ricordo e il senso di colpa per aver permesso ad un sito internet di non tutelare una ragazza indifesa ma anzi di aver fomentato la violenza nei suoi confronti, per l’altra ragazza è ancora possibile fare qualcosa. Come lo è per tutti gli altri milioni di adolescenti italiani che non devono essere lasciati nel buio ma devono essere aiutati a comprendere che il social non si deve ridurre alla dimensione digitale ma piuttosto deve aprirsi alla dimensione reale, molto spesso dimenticata dalle nuove generazioni.

Bisogna cercare di regolamentare diversamente i criteri di base dei social network in modo da essere un terreno fertile di nuove conoscenze e nuovi legami e non luogo di violenza e di timore come troppo spesso comunicato dai fatti di cronaca.