Nel 1992, Paolo Borsellino viene ritrasferito da Marsala a Palermo. Il 4 luglio dello stesso anno, il giudice si reca al Palazzo di Giustizia di Marsala per la cerimonia di saluto. Come al suo solito, parla a braccio ed usa parole cariche di passione e di significato, non risparmiando le dovute frecciatine, senza mai fare nomi, a coloro i quali sono stati sempre pronti ad essere, nei suoi confronti, di pessimo gusto: è il caso di Vincenzo Geraci. Quest’ultimo, chiamato “il Giuda” da Paolo Borsellino, era membro del CSM quando, pur astenendosi, si rese parte di quella maggioranza che bocciò Falcone per la guida del pool. Non solo. Lo stesso Geraci malignò sul trasferimento di Borsellino a Marsala, commentando che Paolo voleva essere ricompensato “con una Procura al mare”. Quel giorno, quello dei saluti alla Procura di Marsala, ci pensano i Sostituti ad allietare e risollevare l’umore di Paolo, consegnando, alla loro “ala protettiva”, una lettera che Borsellino incornicia e appende nello studio di casa. Un passo significativo della lettera, recita così:”Abbiamo goduto, in questi anni, di un’autorevole protezione, i problemi che si presentavano non apparivano insormontabili perché ci sentivamo tutelati. Qualcuno ci ha riferito in questi giorni che tu avresti detto, ironizzando, che ogni tuo sostituto, grazie al tuo insegnamento, superiorem non recognoscet. Sai bene che non è vero, ma è vero invece che la tua persona, inevitabilmente, ci ha portati a riconoscere superiore solo chi lo è veramente”. Gli stessi sostituti, Giuseppe Salvo, Francesco Parrinello, Luciano Costantini, Lina Tosi, Massimo Russo e Alessandra Camassa, a fine scritto lasciano anche un “monito” al loro capo-padre e mai padrone:”La morte di Giovanni e Francesca è stata per tutti noi un po’ la morte dello stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo stato in Sicilia è contro lo stato, e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale […]: sii la nostra fiducia nello stato.” I “suoi” sostituti sapevano bene che non avevano molti altri interlocutori e che, cariche dello Stato avevano tradito dapprima Falcone e poi Borsellino. La grandezza di Paolo è tutta qui: ha toccato con mano la mafia negli Uffici della Procura e negli Uffici capitolini ma, armato di forza e di molta speranza, MAI è stato sopraffatto dal senso di impotenza, di sconfitta e dal desiderio di mollare quella che poteva apparire un’inutile lotta. Quando gli altri mettevano in conto il “lasciar perdere” al primo scoglio, lui mise in conto la morte che, paradossalmente, gli avrebbero procurato la sua ostinazione e la sua forza di volontà nel superare i molti ardui scogli naturali o apposti dall’uomo che gli si presentavano davanti.
“E poi te ne sei andato, troppo in fretta, troppo sbrigativamente, come se questo forte rapporto che ci legava potesse essere reciso soltanto con un brusco taglio, per non soffrirne troppo. Il dopo Borsellino non te lo vogliamo raccontare…” (dalla lettera dei “suoi” sostituti)
Federica Giovinco