80 anni di Carlo Mazzone

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Il 19 marzo è la festa del papà, ma è anche – soprattutto, per gli amanti del pallone – il compleanno del “papà” degli allenatori, Carlo Mazzone.

Per omaggiare la sua lunga carriera non basterebbe un intero giornale, pertanto ci limiteremo agli episodi più salienti che ne hanno fatto emergere l’anima verace. La gran parte della mia generazione lo ricorda, con molto piacere, alla guida del Brescia di Roberto Baggio, parentesi felice che ricorderemo meglio più avanti. Ma Sor Carletto ha allenato letteralmente una vita, prima ancora di smettere di giocare.

Era infatti la stagione 68/69, lui era ancora un giocatore dell’Ascoli, in serie C, e il presidente Costantino Rozzi – altro uomo di calcio d’altri tempi, spesso ricordato per i suoi famigerati calzini rossi, gli assegna pro tempore la guida della squadra. Nelle stagioni successive diventa alla fine l’allenatore “di ruolo”, e Mazzone costruisce qui le prime tappe della sua carriera di “uomo delle promozioni”: in due anni, con due promozioni consecutive, porta l’Ascoli dalla C alla serie A.

Comincia il suo personale Giro d’Italia della provincia italiana: Catanzaro, Pescara, Bologna, Lecce e Cagliari, fino a quando, nel 1993, non arriva la chiamata della vita: quella della Roma, che per un ardente “romanaccio” come lui è il massimo in cui sperare. Purtroppo, la squadra giallorossa di quegli anni non è lo squadrone che sarà forgiato una decina di anni dopo, ma qui sor Carletto realizza il primo colpo che ricordiamo davvero tutti:

A seconda dei vuoti da colmare o delle esigenze tattiche dicevo a Menichini, che era il mio vice, e agli altri collaboratori: “Ah regà, me servono un trequartista e un centrocampista esterno”. E loro andavano con le mie richieste da Luciano Spinosi, l’allenatore della primavera. 

Mi cadde l’occhio su un ragazzino che non avevo mai chiamato, aveva velocità di gambe e di pensiero, grande tecnica di base e abilità di dribbling, potenza di tiro, insomma tutto. Rimasi come folgorato perché quel ragazzino era già superiore alla media dei miei giocatori, era fuori dalla normalità.

Mi ricordo che chiamai Menechini e gli dissi: “Senti ‘na cosa, hai visto quel ragazzino? È proprio bravo bravo, come si chiama?” Non sapevamo neanche che nome avesse. Allora gli dissi: “Vojo sapè tutto de lui, nome, cognome, età e se va sul motorino… Lo vojo in prima squadra fino a sabato, ma non da solo, chiamane altri tre, così camuffiamo, perché poi i giornalisti iniziano a scrivere: Mazzone lancia tizio…e nun va bene. Chiamamelo un po’ che ci parlo.

“Come te chiami ragazzì?”

“Mister mi chiamo Francesco…”

“Ciao Francè, fino a sabato stai con noi, ma mi hanno detto che vai in motorino, lascialo sta ‘sto motorino che bene che va te piji la bronchite e me saltano i piani…”

A 16 anni arriva in prima squadra Francesco Totti. Sono passati più di 20 anni e Totti è ancora lì, e il primo merito è suo.

Arriva poi al Bologna, dove Baggio se n’è appena andato, ma al suo posto è arrivato Beppe Signori: qui Mazzone compie la prima “rivitalizzazione” della sua carriera e porta i rossoblù fino alla semifinale di Coppa Uefa nella stagione 98/99.

È nel 2000 che arriva l’incontro col Brescia e con Baggio. Certo, col senno di poi è facile dire che “Baggio è Baggio”, ma in quel momento il Codino è un giocatore svincolato corteggiato più da esotici lidi esteri che da squadre di Serie A. Mazzone, invece, ci crede. Un allenatore vecchia maniera per risollevare un giocatore alla vecchia maniera. E non sbaglierà.

Nonostante gli atavici problemi fisici di Roberto Baggio, il Codino, che pure adesso non è più un ragazzino di primo pelo, ritrova uno smalto incredibile, arrivando in alcuni tratti di stagione a comandare la classifica dei cannonieri; il Brescia, dal canto suo, raggiunge sempre la salvezza. Senza Baggio e Mazzone non è mai capitato, né ricapiterà più.

Ok, Baggio, ma non è l’unica invenzione: è anche di Mazzone l’idea di spostare Pirlo, che allora aveva giocato come mezza punta e trequartista, sulla mediana e farne un regista/playmaker:

Chiuso nel suo silenzio, di tanto in tanto provavo a scuoterlo: “Ahò, statte un po’ zitto che m’hai fatto ‘na capoccia così a furia de chiacchierá…” Era il mio modo per dirgli di parlare, qualche volta. Volevo solo che fosse più loquace, che si esprimesse con la stessa disinvoltura che aveva quando era in campo. Un giorno gli dissi: “André, non te la prendere ma ti devo cambiare ruolo. Finora hai fatto la mezza punta, adesso ti chiedo di cambiare posizione, farai il playmaker davanti alla difesa, il regista arretrato…”
Pirlo rimase lì ad osservarmi con aria perplessa e mi disse: “Mister, ma così io finirò per fare pochi gol”.

Io gli risposi: “Andrea, fidati di me. Tu sei un giocatore che deve dirigere il gioco, non puoi stare con le spalle rivolte alla porta come un attaccante, tu sei come uno che ha la vista perfetta e invece vorrebbe tapparsi gli occhi, e nun te preoccupà, vedrai che qualche gol lo farai anche tu e con questa posizione entrerai nella storia del calcio”.

A carriera finita, in occasione della finale di Champions del 2009 a Roma fra Manchester United e Barcellona, Mazzone sarà invitato da un suo ex “studente”, Pep Guardiola, che alla guida dei blaugrana diventerà uno degli allenatori più vincenti di sempre. Un attestato di stima che non ha bisogno di commenti.

L’Uomo Mazzone oltre i “numeri”

Fin qui il dato tecnico riguardante la carriera; una carriera lunga, svolta soprattutto in provincia, a cui è mancata la grande occasione che oggi si vedono arrivare persino allenatori al primo incarico. Ma quello che resterà a lungo di Mazzone nel cuore degli appassionati di calcio, è la passione viscerale, la veracità sprizzante in un mondo che piano piano si sta appiattendo sempre più, schiavo di interessi commerciali e fattori che col campo c’entrano poco e niente.

Ricordiamo tutti la corsa sotto la curva nel derby fra Brescia e Atalanta. Ecco, in quella corsa, che pagò fin troppo caro a livello disciplinare, c’è tutto Carlo Mazzone: l’uomo, prima di tutto. L’uomo con le sue passioni, la sua anima, ma anche la serietà e il senso della responsabilità. Un’età degli uomini che il calcio perde pian piano sempre più e che Mazzone ha incarnato, splendidamente, durante tutti questi (primi) 80 anni.

Ormai era il 92°, la partita era finita. Ma quando hai Baggio in squadra e una punizione dal limite, la partita non può mai finire così, infondo lo sapevo e mi stavo già preparando. 3-3. Non ci pensai due volte, mi trasformai in una scheggia, correvo correvo e correvo con il pugno chiuso e urlavo come un ossesso: “Mo arivo, mo arivo…” Ormai non ragionavo più, mi inseguivano nel tentativo di placarmi il mio vice Menichini e l’addetto stampa Edoardo Piovani. Correvo pensando che ero stato insultato e ferito nei sentimenti più cari, senza nessuna ragione. Correvo fino a quando mi trovai davanti alla rete, un muro trasparente e invalicabile. Fu solo in quel momento che presi coscienza di me stesso, girai i tacchi e andai da Collina dicendo “Buttame fori, me lo merito”.

 

Fonte degli aneddoti e delle citazioni di Mazzone riportate: machenesanno.it