Auto-as-soluzioni. Con licenza di incazzarsi

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Cosa suggerire se non un altro bell’inutile eccetera buttato li tanto per?

Le parole, al solito, a rincorrersi svogliate nel consueto vaniloquio inconcludente d’indignazione irredimibile ed eccetera irrimediabili; perché l’importante non è ciò che tu spietatamente scrivi, ma ciò che l’occhio altrui ravvisa o oblia, distrattamente, aprioristicamente, a bell’apposta, nel tuo scrivere. Come potrebbe essere altrimenti?

Ognuno, forte delle sue verità adamantine ed incrollabili, a scorgere nell’altrui sforzo di emanciparsi da se stesso, dai propri limiti e dalla propria condizione di oriundo, straniero, apolide, cittadino rispettabile e rispettato e più che mai (in)soddisfatto, solo un conato d’indignazione a buon mercato, una provocazione reiterata, una prova d’invidia malcelata, l’istigazione all’odio e alla veemenza più spietata. Le parole, in quanto tali, a barattare il loro significato universale sistematicamente al ribasso, fra luoghi comuni, fascinazione delle banalità, dilazione e delazione a prescindere ed eccetera ad libitum. I paraocchi a fare il resto. …Ma davvero davvero ci credi in ciò che scrivi? E perché le scrivi e le riscrivi certe cose?

Scrivere, per i più, non è quasi mai un denudarsi, perché il pudore, le convenzioni, il narcisismo dominano stoicamente in tutta la loro disarmante ingenuità, ma un abbigliarsi, agghindarsi, infagottarsi nella maniera più acconcia per un dì di festa immaginifico, per non suscitare riprovazione, non corrompere il candore delle anime pie e belle, per manifestarsi in tutta la propria possanza al di qua del bene e al fuori del male. Scrivere è per lo più millanteria, ostentata piaggeria, inqualificabile accondiscendenza, tentazione e ambizione a (com)piacersi e piacere a chicchessia, la disposizione melliflua a titillare il velopendulo del consenso più scontato e sciatto, dell’approvazione incondizionata alla propria irreprensibilità indiscussa. Come non pensare, a tal proposito, agli articoli dei giornali (locali e non) e a certi blog popolari?

Ognuno scrive come può o vuole e ciò che vuole, nell’illusione del(l’ im)possibile, destreggiandosi alla bell’e meglio, con gli strumenti a sua disposizione, annacquando, annaspando, piallando, alzando il tiro, testimoniando il proprio essere ed esserci, non solo con un mero e miserabile certificato di esistenza in vita che si traduce in un indecifrabile mi piace, ma con le proprie ragioni, motivazioni, dissertazioni più o meno ponderate, efficaci, capziose, con o senza sarcasmo o semplice ironia, con o senza (pre)giudizi, con o senza sgrammaticature, a vanvera.

Del resto, le ciarle da bar, il cicalare nel salotto buono della città, con la tappezzeria tutta da rifare e qualche statuina o bomboniera vo(li)tiva, nonché le ciance da followers (inde)fessi non sono cose per tutti o da tutti, non solo per una malcelata misantropia o abitudine ad abusare diversamente del proprio tempo o come più ti pare. Rimane comunque necessitata l’urgenza del testimoniare il proprio vissuto, di lasciare un’orma, di districarsi e disincagliarsi, dare ordine ai propri pensieri, mentre nei più audaci fa capoccetta il ghiribizzo di insinuare un dubbio impertinente nell’aere asfissiante di ecumenismo ed unanimismo, quasi sempre di facciata ma sempre in auge e di moda, della comunità visignanisa così umile e illuminata. In fondo, cos’è lo scrivere se non un genere di conforto o un mero trastullo, più o meno intrigante e (ap)pagante, oppure un comodo mezzuccio senza impegno per scagliare qualche dardo da dietro le tendine di quest’aurea mediocrità che si incazza e starnazza a comando, loda e si imbroda, con il sacro terrore nel cuore o nel buco del culo delle eventuali conseguenze del suo dissentire annacquato, che solidarizza in nome di Dio e della fede ma biasima con ferocia manichea e bigotta ad ogni stormir di (f)ronda, avviluppandosi con ingordigia farisea nell’abusato vocabolario della democrazia, dello sviluppo, della cultura, della libertà? Eccetera. Eccetera.

Balle!

Balle!

Balle!

Cos’è questa vostra smania incontrollata di libertà irreggimentata e questa vostra frenesia del contarsi e mai scontrarsi se non l’estremo tentativo di dare dignità al vostro essere succubi, servi, spettatori plaudenti e inani di una tragicommedia recitata sempre e comunque da altri e per altri? Movimentatevi pure, scrivete pure sulla sabbia e a ru strusciu ‘i l’acqua, scrivete sui muri e nei cessi, faciti mmughina, ma per carità non venite a raccontarmi la favoletta bella che si schiude novella, che ieri m’illuse e che oggi v’illude, di volere cambiare il mondo perché siete giovani, perché la gioventù è bella, perché domani è un altro giorno, perché il futuro è dietro la porta, perché i musicanti di Brema, perché l’asino di Buridano, perché Bisignano e i bisignanesi tutti, perché il bue dà del cornuto all’asino e perché tutti i salmi finiranno comunque e sempre in gloria, eccetera, eccetera. Quanta bella e titillante ipocrisia! Quanta e bella speranza che sì fugge tuttavia! Quanta retorica del fare e mai disfare e implacabilmente demandare senza giammai domandarsi ed interrogarsi sui perché.

Certo, scrivere un post o l’articoletto è ben misera cosa, ma è pur sempre qualcosa per erigere la cattedrale del proprio dissenso, mentre l’agire in prima persona, mettendoci la faccia e tutto il resto e possibilmente anche l’intelletto, sarebbe meglio, ma! Ci sono troppi ma. E tu mi dici chi putimi fari? Ma per far cosa, di grazia? Per andare dove? Per non perdere il treno? Per rimanere in careggiata? Per restarsene a galla? Per (rac)cogliere le occasioni sciupate e scialacquate? Per santificare le feste? Oppure per sperare e disperare e tentarle tutte per (ri)trovarsi un posto in paradiso fosse pure a mezza pensione? Cos’è diventata la politica, oramai evaporata, svaporata e disanimata (che a tutti appare e si manifesta in tutta la sua misera ed incontrollata inconsistenza) se non il mezzo o l’estremo privilegio per agguantare la possibilità di raggranellare uno stipendio o solo integrarlo, per acciuffare una mezza raccomandazione e per riuscire ad ingraziarsi la sorte in qualche modo? In qualsiasi modo e ad ogni costo. E cosa sono diventate le associazioni (no profit?) se non l’espediente per riuscire a sedersi davanti alla tavola imbandita? Qualsiasi tavola imbandita. Esserci, contarsi e contare, far parte, per non uscire dal coro o qualsivoglia consorteria e(s)soterica, se non momentaneamente o per improrogabili impegni. Ecco ciò che conta. Bando alle ipocrisie!

Per quanto voi vi crediate assolti 
siete per sempre coinvolti cantava De André nel-la canzone del maggio qualche decennio fa. Giusto! Sacrosanto! Non vi nascondo, però, che quando ho ascoltato l’onorevole e onorato Enrico Letta, (nel suo discorso per la fiducia al suo governo il 30 aprile scorso) parafrasare: nessuno si senta assolto siamo tutti coinvolti, in me s’è rafforzata la convinzione che il clima nazionale di riappacificazione minacciata e riconciliazione profetizzata non preannunciasse niente di nuovo, mostrando tutta l’incapacità italiana di accettare o almeno tollerare le dissonanze e le voci fuori dal coro (un tempo si parlava di pensiero unico). E non si tratta certo di minoranze. La politica, romana e non solo, sembra essersi arroccata nel palazzo nella strenua difesa dei privilegi e degli interessi dei pochi, brigando inneggiando nella lunga attesa, garantendo aria nuova o forse semplicemente aspettando che il suo desiderio si attutisca e sparisca del tutto.

Tira una brutta aria sulla nostra democrazia scriveva tempo fa Ilvo Diamanti su la Repubblica. Il problema è che l’assenza di competizione e di alternativa politica narcotizza il sentimento democratico. Ci abitua a governi “tautologici”: in nome della governabilità. Governi di tutti e dunque di nessuno. Indifferenti ai verdetti elettorali. Alle alternative — a cui gli italiani sono poco avvezzi. Visto che nella prima Repubblica, quindi per oltre 45 anni, non c’è stata alternanza. Stesse forze al governo — Dc e alleati — e all’opposizione — Pci e sinistra. Così, poco a poco, ci si assuefà. A una democrazia-per-così-dire. Non si tratta neppure più della post-democrazia, ridotta al rito elettorale, cui fa riferimento Colin Crouch. Perché, nella post-Italia, descritta da Berselli giusto 10 anni fa, anche il rito elettorale è divenuto indifferente e irrilevante. La polemica politica e fra politici esiste solo nei talk televisivi. La partecipazione dei cittadini diventa poco influente e rilevante. Emerge ed è visibile solo attraverso alcune esplosioni di protesta “localizzate”, su problemi territorialmente definiti (come quella dei No Tav, in Val di Susa).

Cos’altro potrei aggiungere a quanto ben illustrato da Ilvo Diamanti? Forse potrei consigliare la lettura di un buon libro (Il paese reale) di Guido Crainz, che racconta questo nostro Paese dall’assassinio di Moro ai giorni nostri, ma non credo che ti interessino le mie letturine postprandiali, mio esimio lettore assennato! Il quadro che esce fuori dal libro suddetto, comunque, lascia interdetti per il degrado del nostro sistema politico e di una partitocrazia senza i partiti che ha superato ogni livello di guardia, mostrando ogni giorno di più tutta la propria incapacità di innovarsi, di raddrizzare la china, di ritrovare una sua legittimità e un suo senso, salvaguardando una democrazia oramai di facciata se non narcotizzata. È lo sguardo lungo dello storico, per certi versi, ad essere ancor più impietoso della cronaca quotidiana dei giornali e telegiornali e del triste e monotono rituale dei talk show. Eccetera. Eccetera.

A questo punto, mio esimio lettore dissennato, potresti chiedermi cosa c’entra tutto questo mio scrivere con Bisignano e i bisignanesi, ed io cosa potrei risponderti? Da sempre la politica (o presunta tale) bisignanese continua ad avvitarsi intorno a scorreggine di campanile, sempre le stesse e che si ripetono sempre uguali, con una volontà garrula ma miope di voler risolvere i problemi in chiave autarchica e nello stretto ambito rionale o familiare. Molti, del resto, pensano che basti cambiare qualche pedina nella scacchiera, dall’amministrazione alle sue propaggini, ed armati di buona volontà, di coraggio indomito, della benedizione di Sant’Umile o del compare fidato nel governo regionale o nazionale tutto s’aggiusterà, tutto ingranerà a meraviglia, riproponendo il paese di Bengodi e della Cuccagna. …Ma è mai stata Bisignano il paese Bengodi e della Cuccagna, se non per i soliti noti? Basterebbe qualche manifestazione fuori dell’ordinario, che si svuotassero i cassonetti avant’a porta tua ogni santo dì, che i bambini vadano a scuola e riveriscano la maestra, il sindaco ed il suo fido assessore e tutto filerebbe a gonfie vele. …Ma vogliamo scherzare? …Ma pensate davvero che i problemi bisignanesi siano locali e che si risolvano a Bisignano? Quanto mai! Sono decenni, che fra emergenze, gestione ordinaria e rinvii, si dibatte dell’acqua, della spazzatura o delle carrozzabili da asfaltare eppure non si va oltre alla sistemazione di qualche buca o, alla toppa peggiore del buco, di una estenuante ed insignificante epopea toponomastica senza fine. Rinviare, procrastinare, rateizzare, dilazionare, rimandare… sembrano essere solo questi i dettami di una politica incapace di decidere e prendere posizione a Bisignano come a Roma; dal centro alla periferia in ogni enclave in cui la politica declina la sua (im)potenza. Non solo per volontà, interessi o incapacità della politica stessa o perché c’è la crisi, ma anche perché i luoghi delle decisioni sono altrove e le cosiddette regole, scientemente, sono tutt’altro che palesi e chiare. Il tutto sotto l’egida del mercato e di un capitalismo provato ma ancora vivo, vegeto e reattivo.

Il sindaco prepara il rimpasto di giunta. Rischiano la poltrona molti assessori. Così tuonava il titolo di un articolo di giornale mesi fa, eppure la maggioranza sembrerebbe navigare nelle solite acque e di rimpasti non se ne sono ancora visti, ma non bisogna certo perdere la fiducia e la speranza nel futuro. Quanto ancora  durerà quest’altra esperienza mistica di Sua Umiltà Umile Bisignano? Frattanto la situazione finanziaria municipale sembra più che nera. Tra un rimballo ed un rimbalzo di (ir)responsabilità passata e/o presente, tra auto(assoluzioni) e sua culpa, sua massima culpa, ghè fattu n’atra vota juornu, sia lluratu ddiu! I comitati fioriscono e sfioriscono. I giovani si movimentano. I giornali registrano i cambi di posizione. I pargoli alzano la voce. I consigli comunali si susseguono seguendo il ciclo delle stagioni. Con cadenza rituale manca l’acqua, l’olfatto è distratto dalla monnezza che si accumula, e le tue ruote affondano sempre e comunque in quella cazzo di buca… Eccetera. Eccetera. Intanto la Calabria tutta sfodera i suoi tristi primati. Berlusconi é sempre lì. Il futuro te lo giochi coi videopoker e con una monetina per il gratta e vinci. La lunga attesa si respira nell’aria, ma forse è solo l’attesa, nella calura estiva, di un temporale. E tu mi dici e ripeti ancora chi putimi fari?

Bisignano, 31 settembre, 2014.

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 Rosario Lombardo