Gabriele Cipolla aveva inviato centinaia di curriculum ma nessuno aveva mai risposto alle sue disperate richieste di lavoro. È uscito di casa per l’ultima volta in un freddo giorno d’inverno e si è suicidato con un cavo elettrico. Nessuno può permettersi di entrare a posteriori nella testa di Gabriele, nessuno può pretendere di conoscere che cosa lo avesse esasperato così tanto e come si arriva a compiere un tale gesto. Di sicuro tra le sue preoccupazioni c’era però il lavoro e la ricerca di una prospettiva di vita. Di storie come queste sono piene le cronache degli ultimi tempi e l’escalation di morti sembra inarrestabile. Rivolgiamoci con occhio vigile a chi vive intorno a noi e non diamo nulla per scontato poiché anche una semplice parola potrebbe cambiare il corso degli eventi. Non esasperiamo i figli con la pretesa di essere genitori che si aspettano da loro i medesimi successi (carriera, denaro, matrimonio, famiglia). Non screditiamoli per ciò che purtroppo non riescono a realizzare, ma accogliamoli come le vittime di un sistema cui lo Stato ha negato ogni speranza. Non diciamo mai che tutto questo non ci riguarda giacché ogni giorno qualcuno perde il posto di lavoro e con esso anche la propria dignità. Le istituzioni direttamente coinvolte nella responsabilità di creare lavoro non si smarriscano in dissacranti lotte per il potere ma s’impegnino a garantire per sempre un futuro migliore. Non viviamo chiusi nell’egoismo, ognuno sicuro di bastare a se stesso, apriamoci invece agli altri e soprattutto a chi ha bisogno. Chi è in difficoltà non smetta mai di parlare al vicino, all’amico, al fratello, al parente, ma confidi nell’aiuto del prossimo. Non “uccidiamoli” perché non hanno colpe, ogni individuo nasce per conseguire il diritto alla vita e se qualcuno come Gabriele decide di farla finita consideriamoci tutti corresponsabili. Nessuno si consideri esentato da colpe in un momento così tragico, contraddistinto da una crisi profonda che ci trafigge trasversalmente.
13/01/2014 – Alberto De Luca