Una deformata visione della realtà e lo scarso buon senso che da molto ormai ha lasciato il posto al business e alla valutazione di ciò che è meglio solo su base economica e affaristica, spinge il sentire comune a ricordare e fare memoria di qualunque cosa o persona, a prescindere dal reale contributo od al contributo positivo o negativo che hanno dato al Paese. È il caso del ricordo del compleanno di Totò Riina, della celebrazione della sua presunta intelligenza e furbizia, della voglia di ripercorrerne i momenti salienti della sua vita in occasione della sua compianta scomparsa, come se quest’uomo avesse fatto in concreto qualcosa di buono per l’Italia e per la gente! Nessuno, però, ricorda, o vuole ricordare, cosa avvenne 25 anni fa nella data odierna, il 15 gennaio del 1993. “Quando l’abbiamo arrestato assieme a Salvatore Biondino, che guidava la macchina, ero assieme ai miei uomini: Arciere, Vichingo, Omar. Quando gli ho messo le manette lui tremava chiedendoci: «Chi siete? Chi siete?» Rispondemmo: «lei è prigioniero della Crimor.» In caserma lo mettemmo seduto sotto la foto del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, gli abbiamo dato un bicchiere d’acqua e una sigaretta. Totò Riina tremava dalla paura.” (Capitano Ultimo). Erano le 08.55, Di Maggio, pentito di mafia, riconosce Salvatore Riina mentre esce in macchina da via Bernini, accompagnato dall’autista Salvatore Biondino. Inizia immediatamente il pedinamento: alle 09.00 il capitano De Caprio (Ultimo) con alcuni dei suoi sottoposti, blocca l’auto segnalata in via della Regione siciliana: Totò Riina toglie i bracciali d’oro per indossare braccialetti di metallo, da quel momento vedrà il sole a strisce fino alla fine della sua vita. Peccato che le sue vittime non ne hanno potuto sentire più il calore né vederne la luce, dopo il botto assordante di kg di tritolo che li hanno sotterrati nella terra fredda e buia, ma che MAI saranno sotterrati nei gesti puri della gente onesta.
Federica Giovinco
