Seconda serata del Festival di Sanremo, le pagelle

Letture: 2017

La seconda serata dell’amatissimo Festival della musica di Sanremo si è chiusa ieri sera, avvicinandoci sempre più verso la fine degli spettacoli. Alcuni sospirano un “per fortuna”, non essendosi evidentemente evoluta assieme al mondo né la RAI né il festival in sé.

Belle canzoni erano poche, la direzione artistica tutto sommato ha provveduto a grandi inframezzi piacevoli, ma che, nonostante ospiti dal calibro di Sting o Shaggy, non hanno potuto dare quella sensazione di stupore a chi, da decenni ormai, vive una sempre maggiore globalizzazione e quindi spunti e idee sempre più esorbitanti. Nel complesso però lo spettacolo è stato più una celebrazione del cretaceo, con canzoni scritti da o per chi è vecchio dentro, aprendo sempre di più il divario che si trova tra la nuova generazione che vive un’età in cui la creatività non ha più alcun limite e la vecchia, che sembra girare in tondo su sè stessa in vecchi schemi e antiche tradizioni, apparentemente consolidate ma effettivamente rimaste nel gusto di chi ha vissuto (o trasmesso, badate, qui non si parla d’età) solo gli stimoli offerti da reti locali o nazionali.

Ma bando alle ciance, andiamo alle pagelle. Il parere di chi scrive sarà sicuramente impopolare o politicamente scorretto perché sembra non interessarsi dell’opinione o della sensibilità di chi legge, ma è assicurabile il contrario: l’onestà con cui si vuole offrire spunti di riflessioni deriva certamente dalla volontà di far evadere le menti e l’immaginazione. La filosofia del “think outside the box”, pensa al di fuori dalla scatola.

Conduttori
La prima categoria che si valuterà sarà la performance dei conduttori. Pessimi. Lasciando passare il termine, nel dettaglio è quanto segue:

Claudio Baglioni, 4: un cantautore che probabilmente imparò la chitarra dallo stegosauro, ha scritto memorabilissime e bellissime canzoni. Ha curato come direttore artistico lo spettacolo e ha dato il meglio di sè. Ma doveva fermarsi lì: nessuna naturalezza, alcuna scioltezza, sembrava un manichino cui hanno disegnato il sorriso, facendo sembrare gli inserimenti divertenti più un arrogante sarcasmo che qualcosa per cui ridere. O almeno sorridere.

Michelle Hunziker, 4: moderatrice di innumerevoli show televisivi, sia dall’una che dall’altra parte delle Alpi, ha un’esperienza decennale alle spalle. Peccato che quest’esperienza sembrava essersela dimenticata: rigida, era solo la componente rosa dello show, nient’altro. La solita simpatia? Percepibile come un’ombra nel suo sorriso.

Pierfrancesco Favino, 3: attore internazionale, sembrava dover interpretare la terza ruota simpatica, quella che danza fuori dalle righe. Anche lui, nessuna naturalezza, gli occhi sempre sopra la telecamera probabilmente a dover leggere quanto doveva dire. Rimanga nelle sue parti come attore, lo showrunner sembra non addicergli.

Cantanti
Il cuore pulsante del Festival della Musica è, probabilmente, la musica. Probabilmente. Perché l’originalità pare l’abbiano persa nel tragitto per arrivare sul palco. A cui si aggiunge anche la frivolezza di diversi temi e, come anticipato nell’introduzione, l’antichità di alcuni reperti paleologici che si sono esibiti. Vediamo nel dettaglio

Le Vibrazioni – “Così sbagliato”, 7: pezzo in stile rock italiano, quello un po’ indie che conosciamo appunto da loro e dai Negramaro. Dopo tutto piacevole e orecchiabile, sebbene forse un po’ fuori contesto.

Nina Zilli – “Senza appartenere”, 6: una ballata per celebrare la donna. Idea non troppo brutta, sebbene nemmeno troppo carina, ha fatto il tipico pezzo da Festival. Ce ne sono a migliaia tra Sanremo e L’Eurovisione. Comunque se capita in radio, di certo non è roba per cui dover cambiare stazione.

Diodato e Roy Paci “Adesso”, 2: siamo vecchi inside! Lamentiamoci della gioventù che non fa altro che fissare gli schermi del proprio smartphone! Siccome è un’idea nuova e fresca… Due punti per la tromba. Altrimenti si potrebbe benissimo vivere senza.

Elio e le Storie Tese – “Arrivedorci”, 6: pezzo per concludere una grande carriera, in pieno stile di EelST ha messo un punto a un percorso lungo e probabilmente faticoso. Non dice molto, come doveva essere, e non troppo cattivo.

Ornella Vanoni – “Imparare ad amarsi”, 4: probabilmente si esibirà anche dalla tomba col suo riconoscibilissimo stile mai cambiato, almeno negli ultimi 20 anni. Testo sul solito amore, la seduzione, tutta roba molto bella se cantata da un’84enne.

Red Canzian – “Ognuno ha il suo racconto”, 5: pezzo pop-rock degli anni ’80, almeno sembra così. Anche Red ci racconta di quanto sia vecchio, di quante persone ha conosciuto. Per farlo passare inosservato in sottofondo non è male, non è però certo roba che ti lascia stupito, o almeno piacevolmente colpito.

Ron – “Almeno pensami”, 5: anche lui passa inosservato, una ballata con molti accenni da cantautore italiano, nulla di speciale, nemmeno però troppo spiacevole. Se fatta suonare nella posta come musica d’ambiente.

Renzo Rubino – “Custodire”, 5: si inserisce nella stessa scia delle canzoni precedenti, molta ispirazioni dalle cantanti degli anni ’70/’80, molta roba nonsense per reggere almeno la metrica in una canzone sull’amore che passa e che si vuole recuperare. Non si distacca dal fondo incolore delle canzoni che passano e che non ti lasciano nemmeno il ricordo.

Annalisa – “Il mondo prima di te”, 7: un pezzo non troppo cattivo, orecchiabile e con accenni almeno musicali apparentemente fresche, moderne, che sottolinea il testo con la musica. Non brilla certo nel panorama musicale, ma almeno si ascolta con piacere.

Decibel – “Lettera dal Duca”, 5: anche questo pezzo non si stacca dal fondo, incolore, celebrazione dell’antichità del proprio gruppo. Non è male farlo passare in radio, ma nel momento successivo nemmeno ricordi che cosa ha sentito.

Unico momento davveo riuscito, è stato quando Pippo Baudo si è presentato sul palco. Il vero e buon showrunner ha saputo trasformare anche le sue memorie in un piacevole racconto, sprizzando simpatia da ogni poro successivamente e mostrando di come si sentisse a casa su quel palco.

Alfredo Arturi