Fa più rumore un albero che cade
Cosa ci aspetta, cosa possiamo fare per dare eco a questo rumore assordante che l’evento stesso dell’omicidio produce?
Sono le nostre stesse azioni, quello che siamo e facciamo, a chiederci il conto, diventando per noi ricordo o condanna. Ci si aspetta, da chi si trova nella condizione di dover porre rimedio, sia esso fisico o morale, compiuto da istituzioni e non, di compiere azioni propositive e coraggiose. Ora tutto tace, ma sotto la cenere ancora c’è brace viva e anche se in molti pensano di defilarsi, nascondendosi o scappando con la coda fra le gambe, ha sbagliato di sicuro qualche calcolo. Un’azione coraggiosa porta alla crescita ed è di esempio per molti. Per amministrare il bene comune sono fondamentali azioni del genere, perché impediscono il divagare di criminalità e delinquenza, annientano esempi negativi e distruttivi per la collettività. Di queste azioni coraggiose ad oggi nessuna traccia!
Un antico proverbio cinese dice: “Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce”. Attualmente la foresta che cresce è pressoché impercettibile, ma l’albero caduto ha fatto e ancora continua ad essere un boato. Il nostro obbligo morale è di dare voce a chi non ha più voce, alimentare il boato di un figlio di soli 25 anni. Come? Esistono due azioni che permettono al singolo e alla collettività di poterlo fare. Mettono nella condizione che ciò che è stato diventi monito e aiuti ad essere cittadini coraggiosi. In prima analisi c’è la potenza della memoria che è un’azione educativa perché evoca e nello stesso tempo rende attuale un’azione. Per questo il fare memoria è un obbligo affinché tutto diventi un monito per altri. Anzi è responsabilità dell’amministrazione pubblica impegnarsi in questa strada, soprattutto quando un’azione macchia in qualche modo la realtà sociale. Il peccato del singolo è esperienza sociale, non è mai esperienza individuale, ha sempre una ricaduta sulla collettività. È qui che la memoria diventa esperienza educativa, perché insegna, perché aiuta a riscattarsi, perché riabilita l’immagine.
C’è anche un altro aspetto di importanza rilevante ed è la paura. Questa emozione comune può essere positiva e nello stesso tempo negativa, paralizzante nella prima, liberante nella seconda ipotesi. Paralizza perché impedisce di esprimere ciò che siamo, cosa vogliamo, i nostri ideali, lo sviluppo della nostra identità. Positiva perché impedisce di cadere in luccichii di benessere, come la gazza attirata dalla lucentezza dell’elemento che alla fine si rivela essere solo un pezzo di vetro e niente di prezioso. Quando è positiva ci aiuta a non sbagliare e perfino a non morire.
Memoria e paura possono sembrare lontani, ma sono immagini della stessa medaglia.
La memoria per essere efficace deve rendersi concreta e attuale, immediatamente riconoscibile e sperimentabile.
Il suo fine ultimo e sempre un fine pragmatico e poco teorico.
A tutti noi, iniziando dal primo cittadino è chiesto di imporre la propria volontà con una rivoluzione culturale, il tacere alimenta soltanto la gente ignorante che fa della violenza il solo modo di relazionarsi. Ai giovani bisogna far nascere il desiderio delle alte vette e non del fango. Però tutto e sempre nella verità, perché questo porta a non infangare ulteriormente la vita di un figlio di questa terra di Bisignano. Le dicerie spicciole, le sterili critiche portano solo a confondere vittima con carnefice.
Mi piace concludere con un passo di Dan Brown : “I posti più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che nei momenti di grande crisi morale mantengono la loro neutralità” .
Mario Pierfrancesco Paldino