Calabria magica

Letture: 8437

Le tradizioni e le credenze popolari in alcune regione più che altre, persistono ancora oggi. Forse perché si tratta di manifestazioni che vivono abbarbicate nell’anima dell’uomo, forse perché gli anziani del paese le tramandano di generazione in generazione, forse perché la formula “non è vero ma non si sa mai” è sempre valida, fatto sta che è abitudine non fare le cose in un determinato giorno, evitare di passare sotto una scala laddove si può, rispondere “crepi il lupo” quando ci augurano “in bocca al lupo” eccetera.

Una delle regioni del nostro Bel Paese dove paiono persistere tradizioni e credenze è senz’altro la Calabria dove, ancora oggi, anziani del paese raccomandano alcuni atteggiamenti per evitare sfortune, malefici ma anche per propiziare un matrimonio o riappropriarsi dell’amato con i famosi legamenti d’amore potenti.
Molte delle credenze calabresi ruotano attorno all’antica arte dell’allevamento dei bachi da seta, un peculiarità di questa terra. Gli allevamenti dei bachi da seta dovevano essere tutelati e protetti e si pensava fosse fondamentale seguire dei rituali ben precisi per evitare che la malasorte rovinasse la produzione. Spesso la malasorte avveniva proprio per mano di qualcuno che, mosso dall’invidia, cercava di lanciare maledizioni alla bigattiera e mandare il fumo i sacrifici fatti.

Dal malocchio alle fasi lunari, vediamo le tradizioni calabresi cosa consigliano di fare per evitare le “malie” e per propiziare la buona sorte.

Nella tradizione calabrese per neutralizzare maledizioni volontarie, ma anche involontarie, era necessario osservare alcuni rituali e scongiuri che, seppur pittoreschi e curiosi, riuscivano a proteggere dal malocchio.

Ad esempio in alcune zone, laddove sussisteva il pericolo di malocchio, le donne sputavano per terra, facevano le corna e pronunciavano frasi magiche. Talvolta all’atto dello sputare si aggiungeva l’esclamazione, “otto e nove!”, e facendo le corna con la mano destra.

Non si tratta di una formula pronunciata per caso, l’ esclamazione otto e nove trova le sue radici nell’antica e misteriosa scienza dei numeri, tramandata fino ai giorni come magica tradizione .

Talvolta le maledizioni arrivavano anche sotto forma di frase di buon augurio, un buon augurio che celava in realtà invidia. Allora anche in quel caso occorreva rispondere “per le rime” o fare gli scongiuri.

Chi, ad esempio, entrava in una bigattiera (allevamento bachi da seta) doveva pronunciare parole prestabilite e la padrona di casa doveva rispondere con altre parole. Una sorta di rituale per scongiurare il rischio di maledizioni.

In una richiesta parlamentare sui contadini calabresi degli inizi del Novecento si legge: «In talune zone poi, gli allevamenti per crescere bene debbono venir sottratti agli sguardi di chiunque: chi entra nella bigattiera non deve mai dimenticarsi di dire con rispetto “Bon vi crisci” (ben vi cresca), a cui la donna che soprintende il lavoro risponderà: “Bon venga a vossignoria, u vostru occhiu è di pisci, chiddu chi vidi tuttu crisci” (ben venga vostra signoria, il vostro occhio è di pesce, quello che vede tutto cresce); quindi chiusura di porte e finestre, mettendo lenzuoli o coperte a mò di tenda per meglio riuscire allo scopo».
Questa richiesta ben rende il livello di credenza del luogo.

Inoltre non si doveva mai restituire il baco da seta che la vicina portava per mostrarlo, altrimenti l’allevamento sarebbe andato in fumo. I calabresi attribuivano la disgrazia di una malattia ignota quando il capo del baco da seta ingrossava e quando, aprendolo, si trovava all’interno una sostanza verde. In tal caso l’allevatrice doveva recarsi dalla vicina di casa e dirle una frase ben precisa ‘Vedi com’è malato questo mio baco’. E la vicina doveva fare la sua parte ossia prendere quel baco e gettarlo, altrimenti col baco restituito se n’andrebbe anche la sua fortuna.

Gli oggetti protettivi

Tra gli oggetti apotropaici calabresi usati contro gli influssi malevoli c’erano aghi e uova. Era usanza, se si riceveva in dono un seme serico, ricambiare con un soldo o con un uovo per scongiurare il rischio di ricevere il malocchio.

Cosi come era abitudine impiantare un ago in un seme se si doveva attraversare un corso d’acqua. L’ago serviva a proteggere e aveva virtù benefiche, era infatti usato per fermare i lembi delle pezze dove venivano allevati i semi serici.

Anche il colore rosso era un potente antidoto contro il malocchio tanto che si usava appenderlo alle bigattiere così come si usava per custodire uova, pulcini, semi.

I bastoni con cui erano stati uccisi dei serpenti erano ritenuti molto efficaci per propiziare il raccolto .

Così come erano ritenute efficaci alcune piante, come quella di sambuco, e l’acqua raccolta nel giorno di S. Anna o dell’Assunta.

Le regole contro la malasorte

Ma le credenze legate ai possibili effetti dei malefici sulla produzione della seta non finiscono qui, si dovevano infatti rispettare delle regole ben precise: era vietato parlare, fare entrare uomini o fare rumore, era vietato dire che i filugelli erano belli o toglierli dal letto, cosi come era vietato bruciare rami o foglie di gelso (fino a quando i bruchi non producevano la seta), era vietato gettare la buccia dei vermi ed era vietato toccare la semente nel mese di marzo e si doveva evitare di iniziare l’incubazione o stare vicino ai bachi il giovedì, perché giorno “vacante”.

Oltre i divieti c’erano le cose che, invece, erano di buon augurio e che quindi dovevano esser fatte: quando si vendevano i bozzoli se ne dovevano conservare tre o quattro come buon augurio per l’annata che doveva venire, era buona cosa mettere a covare i semi, con la luna crescente, dentro un panierino coperto di lana tosata dalla coscia sinistra d’un castrato nero.

Le fasi lunari sono un esempio concreto di come alcune tradizioni ancora oggi trovino riscontri e siano adottate in modo quasi naturale.

Ma anche le altre credenze trovano riscontri o complementarietà anche in altre regioni d’Italia.