Da “I love you un corno!”
A ra pùnuta i ru sulu
Senz’indugi o garbo di sorta, ma con l’orgoglio ferito d’un filosofo rancoroso, il prof. rammentò all’ingegnere saputello, qualora u sprurenti non se ne fosse ancora accorto, che non era professore mica a caso e che sull’occupazione delle terre e su mille altri accadimenti ne sapeva, modestia a parte, quanto lui se non di più. Lo smemorato non si ricordava più di ciò che aveva già lasciato intendere? Non risultava difficile accertarsi, infatti, che pure prima che spuntasse dal cilindro del destino il turdus-merula-comunista, armato di binocolo, lente d’ingrandimento o cannocchiale, tanto aveva tuonato e piovuto, che quanto accadde nell’autunno del ‘49 era stato propiziato in maniera più che appropriata, …picchì u tupinaru grupari sempi adduvi c’è muollu! Compagno concretezza, facendo assegnamento sulla latitante pacatezza e sulla poca spigliatezza che si ritrovava, perciò, si mise a raccontare per filo e per segno ciò che per volere del fato il 16 ottobre del ‘45 era veramente accaduto.
Un noto proprietario terriero su di un biroccio attraversava il rione piano, allorquando nei pressi del palazzo d’una ben nota famiglia di discendenza nobiliare, di cui non riteneva d’uopo riferire il nome per semplici ragioni d’opportunità, incontrò inaspettato un corteo di reduci che, affollando la stretta strada tutta basole e selciato, avanzava in senso contrario intonando a tono bandiera rossa. La fortuita circostanza scombussolò e mise in agitazione il nobiluomo, infagottato nel suo scuro tabarro, che per infondersi un po’ di coraggio, mentre con la sinistra reggeva i vrigli i ru cavallu, vruscjcu vruscjcu dalla fondina estrasse una smit-wesson calibro 32. Il noto possidente aveva già il suo bel da fare e pensare, dacché pure la camera del lavoro, per via di certe richieste vieppiù insistenti di miglioramento degli accordi sull’imminente raccolta delle olive, s’era messa a scombussolargli l’esistenza. Il signorotto, battezzato sanctificetur per ischerno, non intendeva asulijari raggiuni, ciò nondimeno si vide costretto a rimuginare sul da farsi, su controindicazioni e precauzioni, sul come mettere egli stesso le cose a posto truvanni a pezza a culuru.
Compagno concretezza non si tirava indietro dal riferire ad un piéfelice nauseato già di suo, che ben due giorni prima financo il giornale locale azione liberale aveva riportato la notizia sull’occupazione di certe proprietà della tal altra famiglia nobiliare, di cui ancora una volta riteneva opportuno non riferire indizio alcuno. Poteva pur darsi, aggiungeva, che il corteo rientrasse nei preparativi d’una manifestazione di piazza da tenere la sera stessa, a coronamento dell’azione intrapresa, come consuetudine in simili occasioni.
A ra pùnuta i ru sulu dunque, sebbene si scorgessero ancora insolenti sprazzi di luce, il nobiluomo sul suo trabiccolo scalcagnato rincasava da santa sofia d’epiro o da una delle sue non poche proprietà, procedendo con gran celerità per l’urgenza che gli imponeva un ben specifico sfintere. La vista immediata e repentina dell’orda che gli si parava innanzi, si prese la briga ed il fastidio di sussurrargli all’orecchio di non cercare scorciatoie, ma immantinente di frustare il cavallo per farsi largo. …Cosa poteva fare lo sventurato? Sventurato, per la scalogna e lo sconforto di non avere avuto u tiempu ppi si fari a crucia, ma pur sempre nobiluomo di rifulgente ed aristocratica discendenza. A meno d’uno sputo, un tale maraviglia a scagliarglisi contro con un bastone, colpendolo proprio supa l’uossu i ru mollarulu, …ca manchi i cani, arrassi sia! A poco era giovato che l’assalitore sanctificetur non lo conoscesse affatto, se non ad accrescere la sua di meraviglia. D’altro canto, nel frangente, non gli sembrava il caso di procedere a riverenze dovute e presentazioni di rito. Il signorotto, con stupore e meraviglia intatta, ritenendo di trovarsi di fronte ad un matricolato furfante, se ne fregò di buone maniere e galateo e …noblesse oblige, lapprillà mollò un colpo di rivoltella. Sebbene non valesse la pena fare attenzione ai particolari, l’inaspettato sparo aveva avuto la grazia e l’ardire di contagiare d’identico stupore e medesima meraviglia gli apprensivi dimostranti e il loro capo vengherei che, allarmato dalla spavalderia del ribaldo pistolero, gli si faceva avanti titubante a braccia alzate. Il signorotto, con l’immutato intento e proposito d’allontanarsi dall’insano posto, incitò il cavallo al trotto. In quei giorni, però, le teste matte spuntavano lesti come lepri, talché il fuggitivo, con suo sommo disappunto, si trovò di fronte un certo ntonio servaletta col drappello d’affezionati a rimorchio. Stupore e meraviglia del signorotto, che se ne tornava dalla campagna sull’ondeggiante biroccio, sebbene provati erano ancora intonsi. Scongiurando il timore che l’importuna comparsa tentasse di bloccare il cavallo, con un rapidità che forzò la sua volontà, la mano di dio afferrandogli la smit–wesson calibro 32, giù pistolettate a raffica. Al tuonare della rivoltella lo sfortunato agitatore, che non aveva nessuna intenzione di pigliarsi una pistolettata in corpo, cercando di coprirsi il volto con le braccia e recitando a voce spiegata patrannuostru e vammaria si riparò faccifrunta u muru i ra ghjiesia i santu stefanu. Il cavallo, imbizzarrito dagli spari, si lanciò in un forsennato galoppo. Una gragnuola di malridotte e vecchie suole al folle inseguimento. I ciottoli del selciato a rimbalzare nel delirio dei raggi delle ruote dell’indiavolato trabiccolo. Sparando a destra e manca, il signorotto, che se ne veniva dalla campagna sul suo dannato e scalcinato biroccio, non ne voleva sapere di mollare le redini. In un lampo, ad iniziare dal palazzo del dottor grandinata, gradinata o chissà come, una fitta nube di polvere a levarsi dietro, ed il maledettissimo barroccio a rivelare la sua rutilante presenza in piazza del popolo. A distanza opportuna gli inseguitori. Gli usci socchiusi. Davanti le soglie le fascine. La fiacca luce dei lumi a petrolio a rischiarare la miseria di quelle topaie. La galoppata fuori dall’ordinario del cavallo, che trainava il dannato trabiccolo su cui viaggiava il signorotto oltretutto bene in carne, ebbe il risultato di sfiancare la povera bestia, che proprio sul portone della sua dimora stramazzò miseramente al suolo. Il nobiluomo, che ormai si sentiva al sicuro, da dietro finestre e balconi, tutta notte se ne rimase all’erta. Solo al mattino, con l’arrivo dei carabinieri da cosenza, la vicenda trovò il suo epilogo con l’arresto i chiru sparafacigli, che esibiva un bel bernoccolo in fronte, come un vero e incontrovertibile trofeo di battaglia.
La piazza rossa delle vanità
Le donne capelli raccolti a crocchia, vantisinu e gonne sopra la caviglia. Gli uomini mustacchi e basette lunghe, pantaloni alla zuava e quazittuni al di sopra dei malleoli. Sbandierando le loro rosse speranze accese, vanghe in spalla, bisaccia appresso, stujavucchi e maruffi in mano. Gravide, le vacche a trainare aratri ed erpici. Carichi di sementi i ciuchi. Rovi, spinari e sietti i mari. A dissodare e seminare, …ca simmina quannu vu, ca a giugnu mieti! Le donne, lontane dalla vista degli uomini, a spogliarsi con pudore immacolato. L’irruenza nelle gambe, ad attraversare d’impeto il crati. L’acqua gelida fino alla gola, inguini e natiche intirizzite. A sbracciarsi, …ché la traversata più semplice che fumarsi una sigaretta. Patrimierulu a restarsene all’asciutto, ad attendere il ritorno dei coraggiosi avventurieri. Con l’idea fissa dei reperti americani, a scattare fotografie con la sua brava macchinetta a stelle e strisce. …Madonna santa, quei comunisti impenitenti e rott’in culo, con l’acqua fredda a solleticare la gola e rassodare il fondoschiena! U mulinariellu, in qualche occasione, il fotografo timoroso s’era incaricato di caricarselo sulle spalle. Con la forza taurina che si ritrovava in un baleno a fiondarsi sull’altra sponda. Le precauzioni e la profondità dell’acqua, tuttavia, non impedivano che pedalini, scarpe di vernice rossa e calzoni, fin quasi ai ginocchi, gli s’inzuppassero a dovere. Soffrendo terribilmente il freddo, l’agit-prop-così-tanto-comunista, incazzato nero, a schiumar di rabbia. …Ghiesci i lluochi, mulinariè! M’ha fattu mpunniri n’atra vota. …Vavatinni! Col rischio di prendersi pure una broncopolmonite, …eh che cazzo!
Gli stessi contadini che negli anni ‘60 e ‘70 si sbracciavano nell’affollata p.za-rossa-delle-vanità in occasione dell’annuale festa dell’unità. Il frigorifero singer, il televisore in bianco e nero brionvega, la casa nuova. Il miraggio del progresso che si stagliava come una speranza, un desiderio, un’ideologia naif. Il viale alberato a sgomitare ed allargarsi a vista d’occhio. Enormi i platani. La gente stipata. Il cielo stellato. Inebriante il fumo dei barbecues. Falci, martelli, stelle, sembravano emblemi vivi, sfavillanti sul rosso delle bandiere. Un mare di rosse bandiere. …La piazza rossa, cristo! In una domenica di fine estate del ‘78 o ‘79 sul palco gli inti-illimani addirittura. …De pié cantar, que vamos a triunfar,/ avanzan ya banderas de unidad/ y tú vendrás marchando junto a mí/ y asì verás tu canto y tu bandera florecer. Commercianti, professionisti, operai, contadini, tutti e comunque comunisti, sia pure a vanvera. Compagno concretezza, già diffidente e bastian contrario per partito preso, se ne sarebbe ripartito con la torinese su a milano. Il gatto-soriano, patrimierulu e l’intera giunta, si muovevano compatti, giulivi e trionfanti: …parìa c’u munnu ghera tutto i ru sua. Il padre di tirisinella, non si capacitava che 20 anni di germania erano già passati e sua figlia giovanna già si sposava. La sorella di tirisinella, felice del suo lavoro in comune, non la smetteva di ringraziare il sindaco per quell’impiego, che gli consentiva, senza troppi pensieri, di sposarsi quello stesso anno. L’ingegnere, con qualche anno in meno, tirisinella se l’abbracciava nobilmente davanti a tutti, con gli occhi sfavillanti verso tutto il vuoto da riempire, dirimpetto la chiesa di san francesco della riforma. Il rumore dei camion bruzia scavi s.a.s. movimento terra e lavorazione inerti, in un andare e venire senza tregua, gli suonava nelle orecchie come il cinguettio d’un usignolo. Le amministrazioni a susseguirsi. Gli anni a svignarsela. I decenni a svignarsela. Patrimierulu sempre in sella. Le colline nei dintorni a rovinare sotto i colpi dei bulldozer. Caseggiati in ogni anfratto. Il boom dell’edilizia, il boom dell’abusivismo. Quante campagne elettorali da vincitore per il merlo-dei-merli! Quante gioie e quanta grana per happyfeet! Gli anni ‘60, ‘70, gli ‘80, i ‘90, una galoppata di 40 anni e più. Alla fine dei ‘90, la grande opera dell’ingegno meridionale made-in-visignanu era finalmente compiuta. La p.za-rossa-delle-vanità, dei sogni infranti, delle viole mammole, a mostrarsi nella sua maestosità desolante davanti agli occhi di tutti, comunisti e non. L’ufficio postale, il monumento equestre ai caduti, l’orologio, le panchine… la bretella tutt’intorno, mai o non ancora collaudata, riservata a parcheggi, …l’intera piazza sembrava volesse accogliere a braccia aperte il nuovo scalpitante millennio.
il ChiuR.Lo