Un pomeriggio di ordinaria follia trascorso al nosocomio dell’Annunziata di Cosenza

Letture: 2659

La sirena di un’ambulanza grida per le vie della città. Il mezzo di soccorso invade in velocità il piazzale dell’ospedale e dopo aver levato un paziente dalla sue “viscere”, in retromarcia si dirige al parcheggio. Dinanzi alla scalinata dell’Annunziata si distingue in bella vista un blocchetto di marmo, alto poco più di un metro, sulla cui sommità è posto il mezzo busto di un noto medico, quest’ultimo raffigurante un probabile pioniere del nosocomio. Tutto intorno, un atmosfera di attesa e di rassegnazione fa da cornice allo svolazzare dei colombi, i quali si aggirano indisturbati fra i piedi delle persone, che aspettano davanti all’ingresso del pronto soccorso le notizie del familiare ricoverato d’urgenza. All’ingresso, un cartello indica l’entrata in una stanza angusta e puzzolente. Un odore misto di sudore, alitosi e garze insanguinate si insinua fino al posto della guardia, la quale indica il piccolo ghetto come la reception del pronto soccorso. Un vecchietto moribondo porge all’operatore la propria carta d’identità, dalla quale è impossibile evincerne i dati, visto il cattivo stato di conservazione della stessa. L’impiegato presentatosi allo sportello, in uno stato di narcosi pomeridiana e sfigurato dalle sue congenite occhiaie, sbraita all’anziano dicendo: Quannù sì natù? Un signore di qualche anno più giovane, seccato dall’attesa e rinvenuto dal torpore, afferrando con forza il documento e porgendolo sotto la doppia vista degli occhiali, finalmente comunica i tanto agognati dati. Un altro paziente, pallido in volto come una pastella di pane e sudato al pari di un cavallo dopo una corsa a fior di frustate, cammina lungo il corridoio, cercando invano l’accettazione. Intanto, all’esterno un via vai di macchine, dalle quali scendono i malcapitati. Davanti all’occhio indifferente dell’operatore addetto probabilmente soltanto alla cucina ma con l’aria da primario, il paziente di turno aggrappandosi al familiare e piegato in avanti come un povero Cristo sofferente, si trascina esanime dentro al pronto soccorso. L’addetta alle pulizie traina il suo carrello come un mulo sconsolato e con lo strofinaccio percorre sempre la stessa superficie, trascurando puntualmente tutti gli angoli del pavimento. L’impiegata OSS sfila lungo il tunnel che porta all’ospedale nuovo, strascicando gli zoccoli bianchi e portando sotto il braccio una radiografia. Sbruffando,  guarda l’orologio e contando i passi fino alla meta spera di veder passare più veloce il tempo. I professori  medici e chirurghi usciti dal bar dopo un caffè, avvolti nei loro caldi manti di pura lana vergine, guanti, sciarpe e cappelli, anche in una giornata di anticipo di primavera, percorrono la passerella del pronto soccorso, evitando volentieri il passaggio di un moribondo in barella, appena giunto. Questo è il racconto di un pomeriggio di ordinaria follia trascorso al nosocomio dell’Annunziata di Cosenza, riflesso di una società ormai in forte declino.

21/02/2012
Alberto De Luca