Il mistero dei resti rimasti senza identità

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L’uomo senza volto. Rovi scomposti e una siepe di felci nascondevano, nell’ottobre scorso, dei resti umani sbucati dal nulla. La scena del mistero? Contrada “Galluzzo” di Acri. Un luogo ameno che nessuno avrebbe mai immaginato come il sepolcro naturale della probabile vittima d’un delitto. Sul greto d’un ruscello che s’insinua tra la vegetazione campeggiavano sinistramente il cranio, il bacino e un pezzo di femore d’uno sconosciuto. L’acqua piovana aveva scoperchiato la tomba che qualcuno aveva scavato non molto lontano. Appena fatta la macabra scoperta, i carabinieri avevano perlustrato tutta la zona per cercare altre parti di scheletro. Le ricerche non avevano però dato esito. I resti, subito inviati agli “specialisti” del Ris sarebbero databili ad una ventina di anni addietro. Potrebbe perciò trattarsi di una persona scomparsa negli anni ‘90 per lupara bianca, oppure deceduta in circostanze misteriose e poi sotterrata in riva al corso d’acqua. Nessuno, dopo più di tre mesi, è ancora in grado di risolvere almeno in parte l’enigma stabilendo, intanto, se si tratti dello scheletro di un uomo o di una donna. L’estrazione del codice genetico potrebbe tuttavia presto offrire la possibilità di procedere ad esami comparativi con i familiari di soggetti svaniti nel nulla. La direzione delle indagini è stata assunta dal pm Giuseppe Casciaro, che ha il fascicolo ben in evidenza sulla sua scrivania. Qualcuno sospetta che possa trattarsi dei resti di Salvatore De Marco, un pensionato di Acri scomparso in circostanze sospette il 26 maggio del 1999. Uscì da casa per andare ad un appuntamento e non vi fece più ritorno. L’ulti – mo a vederlo in vita fu l’autista di un pullman. La vicenda di contrada “Galluzzo” presenta peraltro singolari analogie con il ritrovamento di uno scheletro avvenuto nel settembre del 2008 in località “Spadolette” di Paterno. I resti, anche in quel caso, erano nella boscaglia, semicoperti da una pietra, a pochi passi da un torrente. Il maltempo ne aveva favorito il disseppellimento. L’uomo a cui appartenevano, era stato presumibilmente strangolato dieci anni prima, dopo indicibili torture e poi seppellito in un luogo imprecisato. Le indagini medico-scientifiche consentirono di stabilire che gli erano state spezzate le gambe e mozzato pure un braccio. Gli arti inferiori risultarono infatti crudelmente segati nel quadro d’un terribile e ancestrale rito punitivo. Trattandosi di un soggetto di ceppo asiatico gl’inquirenti dell’epo – ca (il caso era affidato al pm Francesco Minisci) pensarono ad un rito che ben poteva ascriversi alla famigerata mafia cinese, nota in tutto il globo per la sua spietatezza. Il caso è rimasto irrisolto.

Arcangelo Badolati
su: Gazzetta del Sud