Amira, la ripresentazione del lavoro di Mario Iaquinta

Letture: 2139

Senza strilli di tromba o annunci urbe et orbi sui social Domenica 29 Ottobre 2017 nella sala biblioteca al Viale Roma Mario Iaquinta ha ripresentato la sua ultima fatica letteraria: AMIRA. Sembra una storia d’amore ,ma non lo è. E’ una rievocazione di un periodo che ha segnato non solo la vita dell’autore,ma anche di quella del gruppo di amici che in quel periodo studiavano o lavoravano a Firenze. Un gruppo di amici (Emilio-Mario P. Don Luigi-Vincenzo-Massimo-Italo-Carmelo-Carmelobis,Nino,Naifumi,un giapponese che era in Italia per imparare la lingua e che portammo anche a Bisignano), che per un lungo periodo ha alloggiato nella stessa pensione e che, inevitabilmente, ha condiviso esperienze di vita, amicizie, esperienze sociali ed esperienze politiche.

Fino ad allora gli unici giornali che avevo letto erano quelli sportivi.La lotta di classe,la politica, il comunismo,la democrazia “cristiana “, perfetti sconosciuti. Tutti sprovveduti, tranne il compagno Miglio, come lo chiama Mario e che gli regalò l’eskimo, già avviato alla politica e già consigliere di minoranza nel nostro comune. Nino lavorava all’università ed ogni pomeriggio ritornava dal lavoro con un pacco di giornali : Paese sera ,l’Avanti, l’Espresso ,e credo anche il Manifesto. Noi non aspettavamo altro, ci tuffavamo avidamente nella lettura dei giornali ed, in seguito, nelle nostre discussioni non si parlava più di sport, ma di politica. Non eravamo una colonia chiusa,eravamo aperti al mondo. Non c’era manifestazione politica o culturale alla quale noi non partecipavamo. Abbiamo
preso coscienza,si dice così,dei proplemi del mondo. Nella nostra pensione alloggiava un greco che era contro i colonnelli e l’agente segreto che lo controllava. Tutti gli arabi che conoscevamo studiavano Architetura e tutti i Greci Agraria. All’università il problema della Palestina e della situazione politica in medio oriente era sempre all’ordine del giornoPoi
venne il Movimento Studentesco e Capanna.

Eravamo così convinti che la Rivoluzione fosse alle porte che andavamo,a nostre spese,a distribuire i volantini del Movimento a Milano, perché un tizio del movimento ci diceva che lui non poteva perché era segnalato e quindi rischiava l’arresto. Quante discussioni, quante serate a parlar del niente ed a sognare con in testa le parole della Locomotiva e al suono degli Intillimani con il loro El pueblo unido jamás será vencido (Il popolo unito non sarà mai sconfitto).

” La Locomotiva” Guccini la scrisse ispirandosi ad un fatto realmente accaduto.Un
macchinista(fuochista) anarchico nel luglio 1893 si impadronì di una locomotiva sganciata da un 2 treno merci nei pressi della stazione di Poggio Renatico e si diresse alla velocità di 50 km/h, che per quei tempi era notevole, verso la stazione di Bologna. Il personale tecnico della stazione deviò la corsa della locomotiva su un binario morto, dove essa si schiantò . Non si sono mai saputi i motivi che spinsero l’uomo a questo folle gesto, ma le sue idee profondamente anarchiche ed una dichiarazione resa dopo il ricovero: “Che importa morire? Meglio morire che essere legato!” convinsero l’opinione pubblica che si trattasse di un gesto di protesta contro le dure condizioni di vita e di lavoro di quegli anni e contro l’ingiustizia sociale, che si manifestava in ogni situazione come ad esempio nell’ambito ferroviario dove c’era una prima classe lussuosa e confortevole, mentre le carrozze delle classi inferiori erano fatiscenti e scomode. Guccini colse il significato anarchico del gesto e, immaginando l’uomo come un eroe proletario, riadattò la vicenda per crearne un pezzo importante e significativo e fece diventare il macchinista Rigosi simbolo della lotta di classe. Qualche anno dopo ,sabato 2 agosto 1980, la stazione di Bologna fu teatro del più grave atto terroristico avvenuto in Italia. E gli Intillimani con il loro El pueblo unido jamás será v encido (Il popolo unito non sarà mai sconfitto).
Una delle più note canzoni legate al movimento Unidad Popular ed alla presidenza del Cile da parte di Salvador Allende, morto nel tragico golpe cileno del 1973 che gli Intillimani hanno portato al successo in Italia e che nell’immaginario collettivo della sinistra a sinistra dell’allora PCI sostituì Bella Ciao e Bandiera rossa.
La canzone venne composta nel 1970 da Sergio Ortega, musicista cileno ,e divenne – dopo il golpe cileno che portò al potere i militari guidati da Augusto Pinochet – un simbolo della lotta per il ritorno alla democrazia tanto in Cile quanto nel resto del mondo.
Amira è un tuffo nel passato, un periodo meraviglioso ed indimenticabile che ha formato caratterialmente e culturalmente ognuno di noi. Anni di studio e di sacrifici che ci ha reso migliori e, quando siamo rientrati, e siamo rientrati tutti, ha reso migliore la società da cui eravamo partiti.

Salvatore Meringolo