Ben presto mi resi conto che quel giornale non faceva per me. Troppo paludato, troppo autoreferenziale, troppo impelagato nelle beghe di palazzo. Per non parlare degli editoriali di Eugenio Scalfari con il suo frasario arduo ed inafferrabile come quello di certi intellettuali della Magna Grecia alla De Mita. Gli articoli di Giorgio Bocca e Miriam Mafai non mi avrebbero impedito di non comprare più La Repubblica. Li ascoltai per la prima volta a Prima Pagina su Radio Tre. Non ero certo uno che ascoltava la rassegna stampa di Radio Radicale, e che cazzo! Mi intrigavano così come Parlato e Pintor e pochi altri. Scelta obbligata a quel punto mi si rivelò optare per Il Manifesto. Alla luce delle prime letture, però, anch’esso mi risultò autoreferenziale, paludato, impelagato nelle beghe di palazzo. Tuttavia il numero di pagine ridotto e certi suoi spunti in terza pagina non mi indussero ad abbandonarlo. Pian piano riuscii a immergermi nelle pieghe di quel giornale, anche se non riuscii mai a venire a capo alle differenze tra le anime vagule e blandule di una sinistra sbrindellata, reduce dagli anni sessanta e settanta. Ad esempio discernere tra il PDUP e DP o gli indipendenti di sinistra eletti nelle liste del PCI.
Avevo bisogno di uscire dall’ambiente provinciale, abulico e senza sale del paesello. E le mie scelte non potevano che essere pilotate dalle mie limitate conoscenze e soprattutto dal portafoglio dei miei genitori. Il liceo scientifico mi aveva ben presto rivelato tutta la sua inadeguatezza di ex mobilificio alla periferia del paese. Sezione (di)staccata, niente laboratori, niente palestra, nemmeno cento studenti. Subito ed inevitabilmente ad accorgermi come i Piazzino, Sapegno, Villari, contassero più dei Palatini& Faggioli, Palatini & Dodero e Amaldi, perché siam pur sempre la patria di Virgilio, Dante e Manzoni! E quel professore di matematica? Che voleva da me? Di essere rimandato non lo avevo messo di certo in conto! …I giornali potevano salvarmi? …La radio? …La televisione? …I libri? …Altri libri! Cercavo disperatamente la mia ancora di salvezza e il mio porto d’approdo. A quindici anni del resto non capisci proprio un cazzo! E nel resto della vita fai finta di capirci quel tanto che ti basta per continuare a recitare la tua parte in commedia. Guardavo ai giornali esposti nel retro dell’edicola del viale come a qualcosa che mi tentava e respingeva al tempo stesso. Giornali che avevano iniziato a smerciare tutta la paccottiglia possibile ed inimmaginabile, ma non erano ancora i tempi delL’Unità di Veltroni o di Mucchio Selvaggio ed il suo profilattico XL in regalo. Così scoprii il mensile Scienza Duemila. Del resto di là a qualche lustro l’ora sarebbe pur scoccata!
No, non temete non sono partito con la mia querimonia nostalgica e autossolutoria. Cerco solo un pretesto per arrivare al punto. Ogni uomo, d’altronde, è figlio del suo tempo, dei suoi luoghi, delle occasioni e delle distrazioni che gli si offrono. A lustri e lustri di distanza, eppure, tutto mi sembra incasellato in modo maledettamente uguale, fatta la tara delle nuove tecnologie e dei danni dell’inviluppo del cosiddetto sviluppo, reale, immaginario, da acchiappare per la coda. Certo siamo in piena era digitale, in balia del virtuale e dell’ansia da (presti)digitazione, in cui l’intelligenza si nega, si concede, si fa artificio. A prescindere dal totem della nostra di intelligenza, spesso variabile se non (a)variata, da cui siamo posseduti e a cui facciamo le nostre rimostranze o riverenze come e quando ci conviene. Un’era, antropocene o vattelapesca, in cui la scienza e la tecnologia sono guidate unicamente dal profitto di mercato, mentre le raccolte fondi Telethon e simili ti offrono la possibilità di vantare il tuo buon cuore e di metterti con la coscienza a posto. E che i giornali non si vendano e le edicole chiudano, o l’editoria ci inondi dei libri di Vannacci, Scopelliti e Capezzone, è solo una rimodulazione dei fasti del libero mercato con l’inevitabile scotto o sacrificio da pagare, da affiancare agli innumerevoli altri calci negli stinchi. …Ma vuoi mettere la bellezza dell’essere online! Del comprare online! Del pavoneggiarsi online! E tu come ti (in)formi? Sui social, davanti alla tv, nel bar sotto casa o col passaparola?
Giorni fa, rovistando tra vecchi scatoloni e ricordi senza riscontro, ho ritrovato vecchie riviste che compravo più di quarant’anni fa. Fra queste Scienza 2000. Non sono riuscito, però, a trovare quel numero che includeva un ampio articolo sull’Unical. L’università tra gli ulivi, così recitava il titolo. Erano gli anni, oltroceano, della Silicon Valley e dei tanti entusiasmi che suscitava in giro per il mondo, così come in Calabria. Speranze spesso tradite o che non sono riuscite a coronare il sogno di una Silicon Valley in salsa bruzia. E mentre l’Università di Arcavacata, negli ultimi anni, scala tutte le classifiche e colonizza mezzo mondo con le sue eccellenze, le sue eccedenze si dividono tra professionisti a mezzo servizio nella scuola e insegnanti di sostegno che sgomitano di graduatoria in graduatoria da nord a sud. Perché “L’università neoliberista insegna che bisogna eccellere, essere i primi,” riuscendo a svoltare o migliorare la vita del singolo, o dei più fortunati, senza tuttavia incidere più di tanto sulla società calabrese nel suo complesso e nella sua complessità. Può una facoltà di medicina e chirurgia TD risollevare le sorti della sanità in Calabria? Può l’innesto di uno scienziato da Oxford galvanizzare l’indole calabra e cancellare gli storici ritardi della nostra terra? D’altronde Georg Gottlob sta all’Unical come i medici cubani stanno alla sanità regionale! Cinquant’anni o quasi di Unical (senza contare le altre università sparse per la regione) in che modo hanno agito sul tessuto (-non tessuto), economico, sociopolitico e culturale della regione? Domanda retorica, beninteso! …A quanto una laurea honoris causa a Pif?
L’Unical sembra un mondo a parte, la riserva indiana, l’enclave dei dotti medici e sapienti, tra una Rende commissariata, una Cosenza che annaspa, e tutto un hinterland sommerso da asfalto e da cemento, da rotonde e centri commerciali! E tu come ci vai all’Università con i mezzi o la tua macchinina?
Cinquant’anni e più di Unical e, mutatis mutandis, cinquant’anni e piu’ di un locale liceo scientifico che si arrabatta da anni tra un’autonomia conquistata a fatica e minacce di chiusura sempre dietro l’angolo. Eccellenza tutta bisignanese come le cime di rapa, il fico dottato, i gummuluni in chiaroscuro. In cinquant’anni ne sono passati di ministri all’istruzione e distruzione fino all’attuale Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito, per qualunque significato si voglia dare al merito. E nel solito clima di conformismo diffuso, dalle Alpi al Lilibeo, anche Bisignano si spopola ed invecchia, tra un’alzabandiera e una processione, na passijata al centro commerciale Il Castello e un post supa a fessbuk, allontanando dalla propria mente eco-ansia, preoccupazioni postpradiali e cazzi vari. Ed in questa congerie culturale, “la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia”, non ti stai a chiedere se ci sia una maggioranza ed un’opposizione, dove cominci il pubblico e finisca il privato, quante miglia sia lontano il tuo futuro dal natio borgo, fosse pure in Albania! E le parole in libertà su un’università privata, nel tuo pasello di neppure diecimila anime, ti suonano maledettamente insensate, chiedendoti se basti consegnarsi nelle mani di Stefano Bandecchi, di Pegaso o della Scuola Radio Elettra!