Da non storico e non politologo, ma da scribacchino matricolato sono molto attento (per quello che posso) nel guardare ai processi storici ed alle evoluzioni /involuzioni della politica, cercando di carpirne la loro linearità, sebbene arzigogolata e a volte caotica, tosto cri(p)tica. Non sempre l’orizzonte degli eventi m’appare chiaro, il futuro si nega in un tabù, il passato s’insinua in uno stillicidio revanscista-negazionista o nel migliore dei casi mestamente revisionista, l’eterno presente si espande e deflagra in un entertainment (infotainment?) semplice e (im)puro. Natura non facit saltus recita una sentenza latina e sebbene il triste spettacolo della politica ci abbia abituato a salti tripli ed in lungo e a perigliosi salti al buio e/o nel vuoto, l’horror vacui è un lusso imperdonabile, nella convinzione e/o presunzione di non riuscire a credere all’esistenza e così individuare tosto l’homus novus di turno. Al di là dei parvenu e dei novizi, delle epifanie e delle ubiquità, la politica negli ultimi anni ci ha abituati a gregari che hanno assunto un ruolo di biliosi capipopolo o boriosi caporioni, peones per di più, avventizi segnati a (mena)dito.
Per davvero, siete così sicuri che la benedetta e/o maledetta prima repubblica sia definitivamente tramontata? Per davvero vogliamo spiegare tutto con “Il complesso del tutto-accaduto-una-volta-per-sempre, tipicamente italiano, umanistico, reazionario, col bello preferito al vero, il sentimento al pensiero.”?
Troppo lontano il tempo dei governi balneari, dei pentapartiti, delle convergenze parallele e della staffetta Craxi – De Mita, delle tribune politiche, dei sassolini nella scarpa del Cossiga senza più K, del tintinnar di manette e tintinnio di monetine, del bunga bunga, de-“i ministri puliti, i buffoni di corte” della pipa di Lama e della pipa di Pertini, del porta-occhiali di Bertinotti, della casa di Scajola, della casa di Fini a Montecarlo, della casa di (?), della carica dei 101, del “patto della crostata” o “della pajata”, della cicoria (e)saltata, della mortadella e del risotto al vino rosso… E in frammezzo il roboante macinino di una storia almeno in parte da sbrogliare o ingarbugliare, storie da incorniciare o cestinare, cronache e feuilleton, croniche dis-funzioni, scandali, scandaletti, tappetini e scendiletto.
Chi si rammenta più e chi sgrana più il rosario dei politici del tempo che fu, dei tanti dimenticati o da dimenticare a ragion veduta, abbacinato o semplicemente tediato, superbamente incazzato o decisamente angosciato dall’assenza e dalle tante manchevolezze, da decenni, di una vera classe dirigente e di un Parlamento (per quanto ancora se ne possa valutare e misurare l’efficacia e la portata della rappresentanza) degne del loro nome? Icasticamente la casta, nel perpetuarsi inesausto del casting dei partiti (o pseudo tali) in lizza di elezione in elezione, sondaggio su sondaggio, in uno stato febbrile e artefatto di propaganda imperitura. Nel gioco di rimandi e comunanze: la casta, le caste, i sempre casti e i troppi costi (per il fare, non fare, disfare) a noi tutti addebitati. Nell’accidentale incastro tra teoria e prassi, a prometterti il nuovo e scodellarti il dejà vu, nell’impegno sempre disatteso di aprire le porte con serio costrutto alla società. …Quale serietà? …E quale società? Un inchino o un baciamano, poi un minuetto ed un serio calcio in culo e la società a risbattertela di filato fuori, con un bel ben servito alla scatoletta di tonno ed a tutte le sardine. Tra menzogne e sortilegi, di delazione in dilazione, tweet dopo tweet, la sempiterna arte di sopravvivere a se stessi. E se la politica fosse semplicemente trasmigrata altrove? Avulsa ed estromessa da partiti e organizzazioni assimilabili, vicarie, tappabuchi. Eppure i politici te li vedi sempre, in gran spolvero, sugli schermi delle loro brame (nani e giganti a seconda della tua dotazione più o meno fortunata in pollici) in estenuanti apparizioni televisive e non. Politici rampanti, ruspanti, tronfi, pervasi dalle loro camaleontiche vibrazioni, dalle loro ricorrenti variazioni sul già detto, dall’ossessione delle luci della ribalta, a star dietro all’incanto di fuochi fatui, fuochi artificiali, fuochi di paglia: sono nuovi i miei sistemi di cui ridon gli allocchi /per dar la vista ai ciechi do polvere negli occhi.
Nell’impasse fra politica politicienne e il dilettantismo e/o il malgoverno platealmente manifesto degli ultimi lustri, l’irrealtà di un paese reale e /o, parimenti, la realtà di un paese irreale. Certo la deriva destrorsa, i rigurgiti fascisti, il populismo e il sovranismo senza requie e tutto quello che più vi aggrada, ma come non sottolineare la continuità e la persistenza di un agire politico immemore, cialtronesco, da farsa o da galera! Il tubo catodico ha lasciato il posto ai pixel di un immaginario confuso, post-post-non-si-sa-che o più banalmente egocentrico e disinteressato di una realtà virtuale abulica e sottomessa, ma come spiegarsi il permanere di certi vizi e malanni antichi ormai cronici (la corruzione, il trasformismo, il consociativismo, i legami e la commistione con il malaffare e le mafie, gli abusi più o meno illeciti…)? Come sarebbe stato possibile la comparsa del movimento pentastellato, o il bullismo dei due Mattei, senza la discesa in campo di Berlusconi e la nascita di Forza Italia nel 1994 e senza l’evaporazione della sinistra? Quanta parte del craxismo e di Craxi c’era in Berlusconi e c’è nella politica attuale? Lo yuppismo, il self-made-man, Drive-in, le sitcom e gli applausi registrati, l’edonismo reaganiano e il pensiero positivo sono davvero rimasti confinati negli anni ottanta? L’autoreferenzialità della politica, il moltiplicarsi di partiti e partitini per scissione ad libitum (ad personam, post o a-ideologici, sul modello aziendale o delle startup), il correntismo e l’espulsione del dibatto interno o di qualsiasi raffronto paragonabile ai vecchi congressi, l’assenza della politica dai luoghi deputati e il permanere della terza camera del salotto televisivo del sempreverde Vespa (e di tutti gli altri talk–show fotocopia), vogliamo considerarli il frutto avvelenato dell’opera indefessa dei social o cosa? Il susseguirsi di leggi elettorali (rimballando dal proporzionale al maggioritario, con correzioni e aggiustamenti ora in un senso ora nell’altro), e le cosiddette riforme costituzionali sempre respinte alla prova del referendum o che hanno lasciato strascichi miserandi sugli enti locali ed in tema di autonomie, come vogliamo interpretarli e a chi vogliamo addebitarli?
È a livello periferico, comunque, che la politica mostra maggiormente il suo volto del passato, fra incrostazioni e stratificazioni, ras o cacicchi immarcescibili, pratiche e abitudini consolidate, clientele e familismo umorale se non amorale. Cosa accomuna e divide, o meglio, qual è la linea evolutiva/involutiva che intercorre tra i …Veraldi, Nisticò, Caligiuri, Meduri, Chiaravalloti, Loiero, Scopelliti, Oliverio, presidenti della Regione Calabria? In cosa hanno brillato? Non sono forse l’espressione più bieca e cieca di una inamovibilità e di una stasi perpetua dell’outlet politico Bruzio, (quasi per niente scalfito ma se mai infoltito dal firmamento dei cinquestelle)? L’istituzione regionale, dal ‘70 in poi, è stata più d’ostacolo o d’aiuto, di freno o di stimolo alla crescita socio-economico-culturale della Calabria? E’ solo un caso il proliferare di enti municipali calabresi in pre-dissesto o in dissesto conclamato? Mario Occhiuto è davvero l’ultima meteora che si è abbattuta su una Cosenzaignara, o solo la prosecuzione naturale di un cammino già tracciato? Quanto dei suoi predecessori (…Mancini, Catizone, Perugini) è rintracciabile nel suo modus agendi amministrativo, quanto del modo e dell’amministrare dei suoi precursori gli ha fatto da apripista, alimentando l’assuefazione, la rassegnazione, le complicità? Francesco Lo Giudice in cosa è diverso da Rosario D’Alessandro o Umile Bisignano? Quanto del padre Carmelo o del suo vecchio sodale Angelo Rosa è rimasto immutato nel disamministrare dell’attuale sindaco bisignanese? Mario Occhiuto e Francesco Lo Giudice, per quanto di generazione e partiti diversi, non sono forse il volto e l’espressione di un medesimo blocco sociale e milieu culturale sostanzialmente immutato negli anni? Come giudicare “…La cultura che il potere e i suoi amministratori considerano uno sfogo assai utile alla perpetuazione del dominio, al governo senza rischio delle persone e delle cose, perché essa produce la supinità (e stupidità) dei sudditi.”? La politica, o ciò che si spaccia per tale, s’apparecchia e dispone, l’ego individuale dell’italiano medio (e ci sarebbe da interrogarsi sul significato del termine medio in questa congiuntura astrale!) a farsi i cazzi propri e i social a rimbalzare lo spettacolo irrilevante dell’eterna quadriglia che s’avvita su stessa in un ballo di dervisci (o)/(a)ccidentale.
Qualunquismo sans façon, pruderie post-ideologica o mero cazzeggio fine a se stesso?
Certo i partiti non sono più quelli del passato ma oggi, come dieci, venti, trenta… anni fa, vale la pena continuare a chiedersi: …ma il potere cos’è? Dove alligna, s’incista, s’annida? In quali pertugi, meandri, menti? A chi risponde, di chi dispone e di cosa risponde? Di che può menar vanto o spocchia? Quanta parte è, e quanta parte risponde alle istituzioni (in tutte le sue estrinsecazioni) e quanto è altro o ancóra? La sovranità limitata è solo una suggestione o un retaggio del passato o è ancor più oggi la manifestazione di una completa genuflessione alle leggi del mercato globale (UE, WTO, FMI, agenzie di rating… banche, corporation hi-tech e non) e del mercimonio locale (appalti, servizi, sovvenzioni…)? Ha senso parlare ancora di padroni del vapore, partitocrazia, nomenclatura… semplicemente disinformazia in luogo dell’odioso fake-news? Qual è lo stato di salute del capitalismo alle nostre latitudini? È ancora vero ciò che scriveva Mark Fisher dieci anni fa: “Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine.”
Rosario Lombardo