Giuseppe Musolino, il “brigante” più noto della Calabria era un tranquillo falegname di S. Stefano in Aspromonte, dov’era nato nel 1876. Alto, magro e con l’aria intellettuale era un calabrese purosangue, anche se vantava discendenze da una famiglia di nobile lignaggio francese. Nel 1897 iniziarono le sue disavventure: un certo Vincenzo Zoccali cadde in un’imboscata, qualcuno gli sparò a tradimento ferendolo e la colpa venne attribuita a Musolino. I carabinieri cominciarono a dargli la caccia e sei mesi dopo venne arrestato e condannato a 21 anni.
La condanna e l’evasione
Determinanti furono, in fase di giudizio, le false testimonianze di Rocco Zoccali e Stefano Crea. Ma Peppe Musulino dal carcere giura vendetta: “Si per casu a lu paisi tornu, chidd’occhi chi ridirunu, chiancirannu”. La detenzione dura poco poiché, il 9 gennaio 1899, Musolino riesce a scappare dal carcere di Gerace Marina, l’odierna Locri. A tal proposito, si racconta che durante il periodo di prigionia il giovane abbia sognato San Giuseppe che gli indicava il punto esatto nella sua cella dove poter scavare per sgretolare il muro e darsi alla fuga. Una volta libero, inizia quindi a consumare la vendetta che aveva giurato di compiere.
Durante la sua latitanza Musolino era diventato un mito: era considerato il “re dell’Aspromonte” e simbolo del popolo meridionale contro i torti subiti dallo Stato.
Che ci faceva il brigante Musolino a Bisignano?
E’ il 12 Settembre 1901 e nei pressi di Luzzi, Francesco Lupinacci un contadino del posto, incontra un uomo che dice di essere proprio il brigante Musolino. “Sediamoci un po’ che vi racconto delle cose” – gli fa, il sedicente brigante. Lo sconcertato Lupinacci vorrebbe andarsene ma è avvinto dall’educazione di quell’uomo che parla bene ed è affabile. “Le vedete queste carte?” – dice l’uomo togliendo dei fogli da una tasca – le devo mandare a un giornale per fare conoscere a tutti chi sono i veri banditi e questa boccetta contiene del veleno. Se mi vedrò perso lo berrò perché io in galera non ci torno più. Sapete, qui vicino, a Bisignano, c’è uno che mi ha fatto la spia e mi devo vendicare”.
Con il suo piano di vendetta, Musolino si era già macchiato di 5 omicidi e 4 tentati omicidi proprio contro chi aveva favorito la sua ingiusta condanna. L’eroe gentile e spietato che voleva farsi giustizia da solo aveva comunque già deciso di dirigersi verso nord per chiedere la grazia al nuovo re Vittorio Emanuele III. Una volta lasciato l’Aspromonte, probabilmente decise di farsi notare anche a Bisignano per compiere un’altra vendetta contro un uomo che gli avrebbe fatto la spia.
Purtroppo non possiamo sapere con certezza il motivo della vendetta che il brigante nutriva contro il bisignanese, nè se il brigante abbia realmente sostato nella città di Bisignano, ma grazie alle ricerche effetuate da Francesco Caravetta nel blog Antichi Delitti sappiamo che anche da queste parti, Musolino, cercava in qualche modo di finanziare le sue tasche. Il sedicente brigante che incontrò Lupinacci nei pressi di Luzzi, gli consegnò infatti una lettera da far recapitare ad un signore di Rose con la richiesta di inviare 200 lire “non come ricatto, ma come limosina” e gli dava appuntamento al ponte sul Mucone dove Lupinacci coltivava un pezzo di terreno, per una eventuale risposta. La lettera non venne mai consegnata ma finì nelle mani dei carabinieri. Quando un paio di giorni dopo, Lupinacci, incontra di nuovo il sedicente Musolino gli disse di non aver risposta al sua biglietto . Così, lui, esclamò “Me lo aspettavo” e se ne andò verso la Sila.
La cattura del brigante Musolino
Lasciata la Calabria, venne per caso catturato ad Acqualagna in provincia di Urbino. I carabinieri erano completamente ignari della sua identità ma alla loro vista, Peppe Musolino, si mise a correre, attirando così l’attenzione dei militari. Inseguito durante la fuga inciampa su un filo di ferro ferendosi e permettendo così ai carabinieri di raggiungerlo. Divenne famosa la frase: “Chiddu chi non poti n’esercitu, poti nu filu”.
Una volta trasferito a Catanzaro, i giudici, oltre a chiedergli conto dei suoi orribili delitti, gli chiedono della tentata estorsione in provincia di Cosenza tirando fuori la lettera consegnata al contadino di Luzzi ed un’altra che avrebbe fatto recapitare in Sila. “La lettera che Vostra Signoria mi esibisce non è scritta né sottoscritta da me. Io non ho commesso mai reati contro la proprietà, né sarei stato capace di scrivere una lettera simile. (…) Non so dire dove mi trovassi il 3 ottobre perché nella mia latitanza non mi sono mai fermato in uno stesso posto, percorrendo località a me ignote, di bosco in bosco. L’individuo che ha scritto la lettera ha creduto di potersi valere del mio nome nella speranza di poter raggiungere il suo scopo”. Così cercava di scrollarsi di dosso le accuse di tentata estorsione, ma le perizie calligrafiche del 1902, stabiliscono senza ombra di dubbio come le lettere siano state scritte proprio da Peppe Musolino. Questa vicenda ebbe ripercussioni anche a Luzzi. Nel 1903, sei consiglieri comunali scrivono al Procuratore del re di Cosenza per accusare Francesco Lupinacci e l’allora Sindaco del paese di essere complici di Peppe Musolino al quale il sindaco avrebbe chiesto, in cambio del suo aiuto, di uccidere alcuni suoi avversari.
La confessione del vero assassino: Musolino era davvero innocente
Solo nel 1933 un certo Giuseppe Travia, che era emigrato in America, confessa di essere stato lui a sparare a Vincenzo Zoccali quella sera del 28 ottobre del 1897 discolpando così definitivamente Musolino del primo delitto. Giuseppe Musolino, non era quindi un bandito, ma una vittima di una congiura, un brigante amato dal popolo. Restò in carcere fino al 1946, quando Palmiro Togliatti, primo ministro di grazia e giustizia, con l’amnistia, gli concesse la grazia. Riconosciutagli l’infermità mentale, venne poi portato al manicomio di Reggio Calabria, dove morì dieci anni dopo alle 10:30 del 22 Gennaio.
Ancora oggi resta integro in Calabria il mito del brigante Musolino che rivive nei racconti dei nonni e delle canzoni popolari.
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