CARLO ALBERTO DALLA CHIESA: “L’ARROGANZA MAFIOSA DEVE CESSARE”

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A Milano fu Generale di divisione e poi vicecomandante dell’Arma, Carlo Alberto Dalla Chiesa venne mandato “in missione” a Palermo nella veste di Prefetto per combattere la mafia. Era il 1982 quando ricevette la nomina, un anno dopo dall’inizio della seconda guerra di mafia che vedeva contrapposti due gruppi: uno composto da Gaetano Badalamenti-Stefano Bontate-Giuseppe Di Cristina- Giuseppe Calderone; l’altro, invece, comprendente la nuova mafia dei corleonesi, Luciano Liggio-Salvatore Riina-Bernardo Provenzano-Leoluca Bagarella. Anni tranquilli, insomma. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”, esordì così, lui che aveva già avuto modo di conoscere la bella e dannata Sicilia, col grado di colonnello, quando lavorò con Boris Giuliano (capo della Squadra Mobile di Palermo) e con il Procuratore di Marsala Cesare Terranova. Frase amarissima che evidenzia in giallo le crepe di uno Stato poco interessato a debellare il fenomeno mafioso sul nascere, Stato nel quale vigeva e, ahimè, vige un sistema che lega le mani, tappa le bocche e chiude le orecchie a coloro i quali vogliono indicare, parlare e sentire. Carlo Alberto Dalla Chiesa è stato, però, voce fuori dal coro come pochi in quegli anni, a dimostrazione del detto “chi vuole, può”. Non perse tempo il Prefetto. Nel luglio ’82 dispose la trasmissione del “rapporto dei 162” alla Procura di Palermo, nel quale si ricostruiva, dettagliatamente, l’organigramma delle famiglie mafiose palermitane attraverso indagini e riscontri. Una telefonata anonima fatta ai carabinieri di Palermo a fine agosto annunciò: «L’operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa». Il 3 settembre 1982, alle 21.15, la vettura guidata dalla moglie del Prefetto, Emanuela Setti Carraro, col marito accanto, venne affiancata da una BMW nella quale un gruppo armato diete inizio al fuoco. Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, caddero sotto colpi di  Kalashnikov, colpevoli di aver assolto il loro dovere di ufficiali di Stato e di compagna di vita. Quel giorno, in via Isidoro Carini, a Palermo, “E’ morta la speranza dei cittadini onesti”.  Come mandanti dei tre omicidi, sono stati condannati all’ergastolo Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Solo nel 2002 sono stati condannati, in primo grado, all’ergastolo gli esecutori materiali. Nell’aprile dell’anno in corso, un collaboratore di giustizia rivela che, mandante dell’omicidio del Prefetto Dalla Chiesa sarebbe stato Francesco Cosentino, vicino all’onorevole Giulio Andreotti. “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo” (Paolo Borsellino).

Federica Giovinco