Caso Marò : fattispecie e controversia.

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maro

fattispecie

la controversia diplomatica tra Italia ed India è una delle fattispecie odierne, nell’ambito del diritto internazionale, di maggior rilievo, connotata dalla compresenza di tesi contrapposte da parte dei due stati contendentesi la giurisdizione sul caso . L’alto rappresentante per gli affari esteri dell’unione europea, Catherine Ashton, si schiera, nel marzo del 2012, a favore dell’Italia, perorando una soluzione che risulti soddisfacente, ma, inavvertitamente, aggravando la posizione dei due fucilieri di marina definendoli “guardie di sicurezza armate private” (affermazione in contrasto con la tesi della difesa italiana , infatti, i marò sono degli ufficiali di stato che agivano jure imperii). L’11 Febbraio Ashton invia una protesta all’India, ribadendo la sua posizione e dunque quella dell’UE, al contrario del segretario generale delle nazioni unite, Ban Ki-Moon, che evita il coinvolgimento diretto grazie ad una sostanziale presa di posizione caratterizzata da un rimando indiretto del contenzioso diplomatico ai rapporti bilaterali India-italia. Il 15 febbraio 2012 al largo delle coste indiane del Kerala, la petroliera italiana “Enrica Lexie” incrocia un peschereccio e, scambiandolo per un’imbarcazione di matrice pirata, ordina un attacco a fuoco per mezzo del quale rimangono uccisi due membri dell’equipaggio erroneamente ritenuto nemico. Costretti ad attraccare al porto indiano con un mezzo di coercizione poco deontologico quale l’inganno , i due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, vengono arrestati con l’accusa di omicidio. Il governo italiano chiede l’ammissibilità della partecipazione di esperti italiani all’analisi balistica del fatto giuridico, ma la corte del Kollam respinge la richiesta permettendo solo la presenza,e non la partecipazione,di una task force italiana atta alla mera vigilanza per obliterare eventuali irregolarità. Viene rilevato che ad uccidere i due civili furono dei colpi di fucile dotati ai due ufficiali di marina italiani e,costoro, vengono trasferiti nel carcere di Trivandrum; successivamente l’alta corte del Kerala concede la libertà su cauzione ai due. L’Italia riesce ad ottenere il permesso di far rientrare i due fucilieri in patria per le vacanze di Natale (dietro garanzia di rientro assicurata dal nostro organo diplomatico). Al rifiuto italiano di far rientrare i marò in India (motivato dalla mancanza di risposta del governo indiano alla proposta formale di avviare un dialogo bilaterale atto alla soluzione diplomatica e pacifica del caso), quest’ultimo stato risponde con un atto gravissimo e contra legem (limitare la libertà personale dell’ambasciatore italiano in India, Giacomo Mancini) poiché viola la convenzione di Vienna del 1961 che sancisce l’immunità ratione matarie e ratione personae dell’ambasciatore: l’unica via che l’India avrebbe potuto usare era rendere non accreditato l’ambasciatore e rispedirlo in patria, non potendo dunque adottare misure restrittive ratione personae. Con un comunicato stampa viene annunciato il ritorno dei due in India presso l’ambasciata di Nuova Delhi. Il ministro degli esteri indiano afferma che non sarà applicata la pena di morte, ma il ministro della giustizia indiano, in un’ intervista, non rilascia alcuna garanzia a riguardo. Il 25 marzo 2013 viene istituito un tribunale ad hoc per giudicare i due marò, presieduto da un magistrato metropolitano, il quale, non può infliggere pene superiori alla reclusione per sette anni (art 29 codice di procedura penale indiano). Dopo la decisione del governo italiano di rimandare i fucilieri di marina in India, il ministro degli esteri, Giulio Terzi, si dimette. L’8 febbraio 2014 il ministro dell’interno indiano autorizza la NIA ( national investigation agency ) a sostenere la peregrina accusa di terrorismo internazionale, negando categoricamente l’uso della pena di morte per i due fucilieri, nonostante la gravità dell’accusa. Il 31 Agosto del 2014 Massimiliano Latorre accusa un malore dovuto ad un’ischemia: la difesa di La Torre presenta un’istanza che, perorante il rientro del fuciliere a scopi terapeutici,viene accolta dalla corte dietro garanzia scritta di rientro ai termini previsti ( quattro mesi) redatta dall’ambasciatore Mancini.

Questioni di diritto

L’imputazione della corte indiana contempla ben quattro titoli di reato: omicidio,tentato omicidio,azioni che hanno comportato danni e associazione a delinquere. La tesi italiana si batte sull’immunità dei due in quanto organi dello stato che hanno agito Jure imperii (sillogisticamente ordunque si esclude l’actio Jure gestionis) in risposta ad un fenomeno come la pirateria, considerato pregiudizievole per la pace e la sicurezza internazionale. L’adesione dell’india o meno, agli accordi multilaterali del VDP(Vessel Protection Detachement ), in questo fatto giuridico non ha rilevanza, perchè, conta il regime giuridico di immunità funzionale degli organi che non agiscono jure privatorum. La difesa italiana ha eccepito il difetto di giurisdizione della corte indiana anche perchè il fatto giuridico(la partenza del colpo) è avvenuto in acque internazionali: la pretesa dell’India di estendere la proprie acque territoriali oltre le 22 miglia viola la convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare, la quale, stabilisce che ogni stato è libero di estendere la propria competenza ratione materiae, e quindi stabilire l’ampiezza delle proprie acque territoriali fino a 12 miglia a partire dalla c.d linea di base . C’è da ribadire e ricordare che , anche se la pretesa testè indicata fosse vera, il difetto di giurisdizione, ai fini del diritto internazionale, sarebbe preesistente a causa dell’agire iure imperii dei due fucilieri, dalla quale, si desume l’immunità funzionale degli organi che, si sarebbe applicata anche per fatti commessi nel territorio dello Stato del foro. Analoga tesi funge da risposta al fatto che l’India invochi che il fatto giuridico “punto morte” si sia verificato non in acque internazionali, bensì in acque territoriali: per la difesa indiana,infatti,bisogna tenere in considerazione l’evento morte,avvenuto in acque indiane, e non la semplice partenza del proiettile. Sembra che la difesa indiana continui ad ignorare pedissequamente l’immunità degli agenti come mandatari nell’interesse dello stato e della sicurezza internazionale. Per alcuni bisogna anche ricordare l’articolo 97 della convenzione delle nazioni unite sul diritto del mare, il quale, stabilisce che,in caso di una collisione o di ogni altro incidente di navigazione in alto mare, la giurisdizione penale o disciplinare sul comandante e ogni persona in servizio sulla nave spetti allo Stato della bandiera o allo Stato nazionale della persona . La pretesa di immettere l’uccisione volontaria di persone per mezzo di fuoco spontaneo non rientra nella casistica dell’articolo testè indicato, poiché, esso si confà alle sole circoscritte ipotesi di collisioni tra navi ed incidenti di navigazione. Insensato è anche il tentativo di un interpretazione forzata dell’articolo 92, paragrafo 1, della convenzione di Montego bay, per il quale, la giurisdizione dello stato di bandiera ingloba chi si trova in alto mare: infatti tale disposizione è limitata all’ermeneutica fattispecie di compiere atti coercitivi di governo sulla nave in alto mare (juristition to enforce). La via più percorribile per l’italia dunque risulta quella di puntare sull’immunità funzionale dell’organo, infatti, tale potere è a garanzia della stessa libertà di organizzazione di uno stato. La violazione indiana è evidente ( ribadisco che i fucilieri agivano jure imperii, legittimati dal VDP, per tutelare la sicurezza internazionale contro atti di pirateria. Una legge italiana li qualifica come ufficiali di polizia e rispondono agli ordini del ministero della difesa ): è vietato dal diritto internazionale generale che uno stato eserciti la giurisdizione penale su organi di un altro stato che agiscono nell’interesse di quest’ultimo (ricordiamo che ci sono delle eccezioni : genocidio,crimini di guerra,crimini contro l’umanità, attività clandestine, tutti casi che, non sono ascrivibili al comportamento dei nostri due ufficiali). La soluzione più ragionevole e senz’altro più diplomatica è quella di ricorrere ad un tribunale internazionale, anche se i media indiani parlano di un imminente riunione degli organi interni per la risoluzione pacifica della controversia, con probabile assegnazione di giurisdizione ai tribunali italiani.

di Ferdinando Francesco Cristarella Oristano (con la speranza che i nostri marò rientrino perennemente in Italia nel rispetto del diritto internazionale e delle relazioni diplomatiche).