Cuscienzia l’anima

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M’indignano gli assessori alla cultura. Ho l’indignazione facile e l’effervescente Brioschi non sempre a portata di mano. Ma forse… forse, mi annoiano. Così. Semplicemente. È il presenzialismo fine a se stesso. È il megafono mai spento nel procrastinare inesorabile. È l’allenato orecchio da mercanti. È la faida irrisolta fra favola e realtà. È mancanza di idee. È la commistione strampalata fra cultura e bisignanesità che stride e non fa rima.

Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! … com’è noto, hanno le gambe lunghe e fanno molta strada.” Persino a Bisignano!

L’andirivieni per via e spiazzi, mulattiere, asfalto e cemento, bitume e bitumazioni da fare e rifare, la sensazione che non ci sia toccasana o unguento per sanare per una buona volta la cancrena, lenire la ferita. La chirurgia esige misure acconce, scienza e coscienza, ma cerusici e stregoni spacciano rimedi scadenti, pozioni magiche, panacee, guerre e rendite di posizione. A lume di naso smerciano l’amministrare come i sacramenti. E con gli ideali ti asciugano il moccio o puliscono il grugno.

E già me lo vedo il nuovo sindaco in grisaglia, col codazzo della solita o nuova sorridente marmaglia. Il nodo della cravatta troppo grosso, la stessa faccia di circostanza di un sacco di cemento e la bocca spalancata di una pala meccanica. L’eloquio scarnificato di un Calderoli o di un Gasparri della miglior (peggior) specie. “Eccomi son qui per voi, pronto a tutto, a pararvi e salvarvi pure il culo. Chiedete e vi sarà dato. …Ma chi cazzi su si scienziati?” E la parola scienziati potrebbe essere sostituita con filosofi, rompiballe, intelligenza, altro. Bisignano non è terra di cultura. Bisignano si pasce di narcisi, girasoli, vruoccularapi. E di tanti che se ne vanno. E di tanti che si comportano come se non se ne fossero mai andati, avviluppati nella retorica stanca delle tradizioni, del paesello, della lingua che batte dove il dente duole, del genius loci che si fa vocabolario, tela, videotape per rigattieri. Bisignano non è l’ombelico del mondo. Bisignano è Calabria. Bisignano è la favola eterna di un volano di sviluppo sempre in moto. (A) folle. Con una marcia sbagliata, così semplicemente, per consumare le risorse, fari struscio, fumo. È intanto, mercati, ipermercati, centri commerciali, santificazioni e la Riforma. E sbancamenti e colate di cemento. Opere d’ingegno in assenza di ritegno. Altro che Calatrava, Renzo Piano, Le Courbisier! In tempo utile. A tempo debito. Salvo i contrattempi. A fortiori. A porzioni. Opere da far invidia agli extraterrestri e pure ai paesi circostanti. Capaci di richiamare i villeggianti a frotte come le mosche, di inumare il passato, di dileggiare il presente. Noi bisignanesi con un passato sì carico di storia e un presente con tutti i salmi che finiscono in gloria.

Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina.

Così scrive Mauro Francesco Minervino a pag. 31 di Statale 18 edito da Fandango (la statale che corre lungo la costa tirrenica calabrese per cui l’autore parla di una città a nastro): “Nell’ultimo decennio, anche di fronte alle contrazioni del mercato immobiliare e alla crisi generale dell’economia, nonostante il ristagno di una domanda di case sostanzialmente sopita, a parte alcuni segmenti particolari, tutti a reddito tendente a zero, compresi gli immigrati, si è continuato a costruire senza freni, specie al sud e con ragguardevole ostinazione in Calabria, terra di primati nel disastro di un paese che pare aver smarrito ogni riguardo per la bellezza, per l’ambiente, per la memoria. In soli 15 anni (fra il 1990 e il 2005) in Calabria sono stati edificati 269.560 ettari, pari al 26,13 per cento dell’intero territorio regionale (dati ISTAT e SVIMEZ). Una percentuale mostruosa che colloca la Calabria ai vertici della graduatoria nazionale per l’occupazione dei suoli. Una percentuale folle. Che fa impallidire persino l’intera attività edilizia registrata nelle grandi aree metropolitane e industriali delle regioni del nord-est più sviluppato, dalla Lombardia al Veneto.” Evidentemente Bisignano, alla luce di questi dati e considerazioni, appartiene a pieno titolo alla regione Calabria e non mi pare che gli ultimi cinque o sei anni abbia invertito la tendenza, nonostante i convegni, le virtù e i virtuosismi, le parate, le sparate, le frane, il dissesto e i dissesti. Bisignano appare come una cellula cancerosa di una metastasi più vasta che non si ferma ai confini regionali, sotto la benedizione ed imprimatur della politica ed economia nazionale. Ci sono le parole e ci sono i fatti. Le strade possono pur essere bitumate (a partire dal centro naturalmente!) ma continuano ad essere lastricate non certe di buone intenzioni. Manca una cultura del territorio, e questo purtroppo non sembra preoccupare né i singoli cittadini né gli amministratori.

Alcuni aspirerebbero ad una Svolta. Politica naturalmente. Sommessamente faccio osservare che non ci può essere SVOLTA che non nasca da un seme di rivolta, a meno che non si voglia che si traduca nella sempiterna beffa per un’ennesima volta. D’altro canto i latori della presunta Svolta dovrebbero essere gli stessi personaggi, a vario titolo, protagonisti della scena politica da vent’anni e più. A volte bisognerebbe chiedersi se è la politica che è a servizio di Bisignano, o Bisignano a servizio della sua politica. Politica si fa per dire naturalmente! Oltre il campanilismo sciatto ed abusato non c’è nulla che sia degno di nota, un invito netto alla diserzione e all’emigrazione.

Certo la gente “si costerna, s’indigna, s’impegna” …ma “poi getta la spugna con gran dignità.” Indigniamoci pure, per carità! …Ma perché continuare a votarli?

Mettiamo il caso che la ruota del vostro suv, o scatola di latta uguale, vetri oscurati, sobbalzi tra basola e selciato o traballi fra buca e buca, e là che la vostra indignazione vi rimbalza fra bocca della stomaco e labbra esplicandosi in un esauriente: «vafanculu a vua e chini vi ci ha mannatu!» Salvo poi, davanti ad un bel caffè al bar, l’indigeno bisignanese si sbracci e spertichi nel repertorio di rito: «…ppi vua, assesso’! …Cuscienzia l’anima! …Quantu zuccaru?» Del resto non può esserci partecipazione nel supermarket della politica locale dove il consenso esige una clientela accontentabile. L’ethos civile di un popolo ha a che fare con la sua cultura oppure no?

Non è colpa mia se la tua realtà
mi costringe a fare guerra all’omertà.

In questi ultimi decenni, se è possibile, la situazione si é pure aggravata, si è incancrenita. I buoni maestri non mancano, ed il governo nazionale ci ha messo il suo impegno. Michele Serra in un’intervista a Simone Mercurio sulle pagine della rivista Mucchio (di aprile) dice: “Il ventennio Berlusconiano si lascerà alle spalle macerie sociali e inumane. Quando a un paese come l’Italia levi anche quel poco di principio della responsabilità individuale che era riuscito faticosamente a costruirsi nonostante la Chiesa Cattolica, lo condanni a tornare a quel paese di sudditi, di vassalli, di cosche, di famigliole e famigline che è sempre stato.

Rosario Lombardo

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