“Cera una volta…”: così cominciano le favole, e così questa nostra storia perché, 15 anni fa, come una favola è iniziata. Stiamo parlando della “favola Chievo” e del suo artefice: Luigi Del Neri. Ingaggiato nel 2000 dalla squadra del piccolo borgo veronese ottiene subito la promozione in Serie A, cosa che già sarebbe miracolosa. Ma non solo: nel primo campionato in massima serie il Chievo si ritrova nelle zone alte, occupa per un paio di giornate la vetta della classifica e conclude al quinto posto che vale l’accesso alla Coppa UEFA. Una favola, veramente. Nessuno capisce come faccia Del Neri; probabilmente neanche i suoi giocatori lo capiscono, visto il suo modo di parlare…
Il Chievo di Del Neri ha un gioco frizzante e offensivo, ma rigidamente impostato: non esiste altro schema all’infuori del 4-4-2 e le ali comandano su tutto. Eriberto (Luciano) e Manfredini, gli esterni titolari, a stento finiscono qualche partita tanto che vengono spompati. Ma in fondo, chi se ne frega: con quelle ali il Chievo vola e Del Neri, che nelle stagioni successive porterà i clivensi sempre nella parte sinistra della classifica, diventa un allenatore assai ambito.
Quando al nostro “Ispettore Closeau” scade il contratto, in tanti si sbracciano per averlo. A puntarci fortemente è la squadra che, sotto la guida di Mourinho – che ha appena cominciato a costruire la sua leggenda – ha vinto la Champions Leauge da outsider, il Porto. Il Mago di Setubal ha ricevuto la chiamata del Chelsea e non poteva dire di no; similmente Del Neri, che passa da una squadra di un quartiere a una al top del calcio europeo.
Sembra il via di una nuova favola, ma adesso si trasforma in tragedia greca: Del Neri dopo un mese dall’ingaggio, quando la stagione non è ancora iniziata, viene esonerato. A suo modo, un nuovo record. Alla base di tale scelta ci sarebbero “incomprensioni” con i senatori del gruppo. Be’, un po’ tutti faticano a capire Del Neri, a dire il vero…
Ma pare solo un incidente di percorso, Del Neri è un allenatore lanciato e un altro top club, stavolta di casa nostra, punta su di lui: la Roma, dopo il dimissionario Rudi Voeller, lo ingaggia. Però c’è un problema: l’Asterix di Aquileia è un fondamentalista del 4-4-2, ma a Roma c’è da sfruttare il tridente Totti-Cassano-Montella. Come fare? La stagione è una sequela di delusioni finché non si dimette a marzo.
Ma anche qui può essere solo sfortuna: dopo tutto ha ereditato la squadra, non l’ha costruita secondo i suoi canoni… avrà maggior fortuna la volta successiva. Certo che però per rilanciarti scegli il Palermo di Zamparini forse un po’ te la vai a cercare… l’esperienza dura 6 mesi, dall’estate 2005 al gennaio 2006.
Cosa c’è di meglio di un ritorno a casa, quando sei in difficoltà? E allora Del Neri accetta di ritornare al Chievo nell’ottobre 2006, ma la stagione si conclude con la retrocessione dei gialloblu.
La carriera di Del Neri sembra essersi definitivamente arenata. Ma è qui che (ri)comincia il bello: l’anno successivo è alla guida dell’Atalanta e sembra il ritorno agli antichi fasti: 4-4-2, Doni e Langella a sgroppare sulle fasce e l’Atalanta conclude al nono posto, ad un soffio dall’Europa. L’anno successivo il cambio di dirigenza porta a nuove incomprensioni (la battuta è bella se non se ne abusa…) e a fine stagione lascia.
Ma ora è di nuovo lanciato e passa alla Sampdoria, forse la sua migliore stagione di sempre. Con la coppia d’attacco Cassano-Pazzini la Samp si porta addirittura prima in classifica, con vittorie esterne di prestigio come quelle sull’Inter e la Roma. La stagione si concluderà al quarto posto e la qualificazione ai preliminari di Champions League.
È il momento buono per fare il grande passo, per arrivare definitivamente nell’Olimpo: la panchina della Juve è vacante, è il momento di osare. Inoltre, alla Juve è appena arrivato anche Beppe Marotta, il D.G. che con lui ha costruito e lanciato quella Sampdoria. Così Del neri, nell’anno di grazia 2010-11 viene ingaggiato dalla Juventus. La Juve ha due esterni funzionali al gioco di Del Neri: Pepe, appena preso dopo un Mondiale dove è uno dei pochi ad aver salvato la faccia, ma soprattutto Milos Krasic, ribattezzato subito “il nuovo Nedved”. Il biondino in effetti sembra una cosa mostruosa: nel gioco tutto sugli esterni di Del Neri si esalta e fa piangere di nostalgia il cuore di milioni di tifosi.
Sembra l’anno buono del post-Calciopoli: la Juve è stabilmente nelle zone alte, staziona a lungo al secondo posto e arriva alla pausa natalizia al quarto posto. Quando poi si riprende accade l’irreparabile: Fabio Quagliarella, l’attaccante su cui Del Neri ha costruito praticamente tutto il gioco, sia offensivo che difensivo, si rompe il ginocchio e rimane fermo per il resto della stagione. Da qui in poi, il calvario. La stagione finisce in modo disastroso: settimo posto e non qualificata per nessuna competizione europea, roba che, anno di B e successivo a parte, non accadeva alla Juve da 20 anni. L’ultimo a riuscire in tale impresa “sul campo” era stato niente meno che Gigi Maifredi.
Del Neri si è bruciato di nuovo: lascia la Juve a fine campionato e rimane un anno fermo. Vine chiamato solo nel 2012, come subentrante, al Genoa. Prime 5 partite, 5 sconfitte. Viene esonerato poco dopo.
Stavolta di anni ne servono ben 3: infatti, pochi giorni fa, il primo dicembre 2015, torna in panchina. Stavolta è un mezzo ritorno a casa, perché si siede sull’altra panchina di Verona, quella dell’Hellas. Si tratta di una squadra all’ultimo posto solitario in classifica, costruita per giocare praticamente con qualunque modulo tranne il 4-4-2, con i suoi due bomber importanti, Toni e Pazzini, al momento entrambi out. Insomma, gli ingredienti per bruciarsi ancora una volta ci sono tutti.
Ma la voglia di allenare era tanta: dopo tutto mica puoi passare tutto questo tempo sempre e solo ad inseguire la Pantera Rosa…
Mario Iaquinta