Eravamo tutti davanti ai televisori, abbiamo visto com’è andata. Abbiamo visto la prestazione eroica – e non si esagera definendola così – dei nostri giocatori, e abbiamo visto le mezze pagliacciate di Zaza e Pellè, abbiamo visto le lacrime ardenti di gente come Barzagli e Buffon. Vabbè, pazienza, ormai è andata così. Ma adesso? Cosa cambia per la nostra Nazionale e per la tradizione della sfida Italia-Germania?
Cominciamo dal primo punto, cosa cambia per la Nazionale, e cominciamo dalle conseguenze più evidenti: l’Italia esce dall’Europeo come si suol dire a testa alta – ricordiamo che solo pochi mesi fa i tedeschi ci frullavano 4-1 in amichevole e adesso invece siamo usciti solo dopo i rigori a oltranza – e termina così la spedizione. Questo significa anche la fine (anticipata) dell’avventura di Antonio Conte alla guida degli Azzurri. C’è stato molto del carattere del CT uscente in questa squadra: una rosa composta soprattutto da “lavoratori”, gente che magari non eccelle dal punto di vista tecnico ma che svolge un lavoro tattico superbo e che butta l’anima sul campo ogni volta. Giaccherini, probabilmente il giocatore azzurro con la migliore costanza di rendimento, ne è l’esempio più lampante.
Arriverà Gian Piero Ventura: tecnico eccellente, che però ovviamente ci farà assistere, probabilmente, a tutt’altro modo di giocare. L’ex allenatore del Toro certo non disdegna la velocità e il movimento in campo, ma cose come quel pressing a tutto campo fatto di densità e pressione o le verticalizzazioni cercate quasi costantemente forse non le vedremo più. Questo significherà difendere diversamente, attaccare diversamente, quindi giocare diversamente. Ventura potrebbe far tornare al comando la vecchia figura del “selezionatore”, quello puro: l’uomo che non ha la necessità di costruire la squadra secondo i suoi schemi e credi tattici, ma che cercherà di adattare modulo e movimenti a quanto emergerà piano piano dal campionato. Ad esempio, con una figura del genere, Pavoletti e Jorginho, protagonisti di un’ottima stagione, non solo sarebbero partiti con gli Azzurri in terra francese, ma probabilmente avrebbero fatto parte degli undici titolari. Se dovesse essere davvero questa l’impostazione, si dovrà sperare in una produzione di talenti all’altezza.
Questi i probabili orizzonti per la Nazionale. Ma cosa cambia nel novero della tradizionale sfida Italia-Germania? In teoria poco, in pratica… forse qualcosa di più. Spieghiamoci meglio.
Nelle statistiche degli sconti fra tedeschi e italiani in partite ufficiali rimarrà il risultato al 120′, ovvero l’1-1. Questo significa che, almeno sulla carta, l’Italia rimane imbattuta nei confronti con la Germania: la tradizione continua. Ma come si suol dire, una volta che sanguini diventa evidente che puoi essere sconfitto, e questa Germania – una delle squadre più complete della storia – potrebbe essersi finalmente tolto un bel complesso. Inoltre, nell’immaginario collettivo, questa Nazionale “operaia” che ha costruito due imprese e tre quarti (Belgio, Spagna e quasi-Germania) rimarrà nella storia come la prima che ha perso contro la Mannschaft. Poco importa che noi siamo dovuti partire senza Marchisio e Verratti, che contro di loro abbiamo giocato con la mediana Giaccherini-Sturaro e Parolo playmaker mentre dall’altra parte si permettevano il lusso di tenere in panca gente come Schweinsteiger e Draxler: il risultato nella testa di tutti sarà che abbiamo perso con la Germania.
Speriamo solo che questa piccola “tragedia sportiva” faccia finalmente avviare un rinnovamento vero del nostro calcio: sono dieci anni che si continua a parlare di “puntare sui vivai, sui giovani e sui giocatori italiani” ma è evidente che questi appelli elettorali sono rimasti lettera morta: la nostra coppia d’attacco titolare – Eder e Pellè – non è oggettivamente all’altezza né dei fasti del passato, né della concorrenza internazionale: in due hanno totalizzato 207 presenze in Serie A con la miseria di 50 reti e appena 18 presenze in competizioni internazionali per club. Ripetiamo: sono le statistiche di DUE giocatori (di Pellè abbiamo volutamente escluso i dati in terra straniera, che farebbero solo emergere le differenze fra il suo rendimento in Italia e quello all’estero, quindi la differenza fra difese e modi di giocare, non la sua eventuale bravura). E loro sono il meglio che abbiamo al momento, e non sono nemmeno più dei ragazzini (Eder ha 30 anni, Pellè 31).
Dove vogliamo arrivare? A questo: è evidente la necessità di far crescere giovani. Se sono di buone prospettive, devono giocare e anche poter sbagliare, e non ripudiarli al primo errore mandandoli prima in panca e poi nella lista cedibili. Abbiamo tanto più bisogno di un atteggiamento del genere se, come dicevamo prima, dovesse ritornare in auge la figura del vero e proprio selezionatore.
Questa storica prima sconfitta con la Germania, la prima da 46 anni, deve quindi essere il nostro punto di partenza. Paradossalmente, rischiamo di specchiarci e vederci belli nella nostra sconfitta, solo perché non siamo stati travolti come il Brasile. Nel cuore di chi ha visto questa squadra resteranno le prestazioni, ma non deve essere una scusante per cullarsi su presunte qualità. Lo abbiamo già fatto quattro anni fa – allora arrivammo in finale di un Europeo dopo una serie di buone prestazioni e, tra l’altro, una vittoria in semifinale con la Germania, solo per illuderci che due anni dopo avremmo fatto un buon Mondiale e invece perdemmo con il Costa Rica – cerchiamo di non ripetere l’errore.