IDENTITA’ e MIGRAZIONI : Conversazione con Pino Aprile

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Con lo sguardo dritto e fiero all’Identità, si è svolto nella sala Consiliare di San Giorgio Albanese il 24 Marzo 2018 il Festival delle MIGRAZIONI.

L’ intensa voce di Gigliola Castrovillari gli arrangiamenti musicali curati da Carmine Ascente, Francesco Giannico, hanno incastonato i testi di Maria Giovanna Rizzo in un gradevole cameo di intrattenimento, tra riflessioni e spunti offerti dai relatori: il Sindaco sangiorgese Gianni Gabriele, il vice Sindaco Sergio Esposito; il sindaco di San Demetrio Corone Salvatore Lamirata (Presidente del Cal Regione Calabria) e dal delegato dell’Immigrazione Regione Calabria Giovanni Manoccio.
Punto focale della serata il sarcastico e sagace contributo di Pino Aprile, divulgatore tra i più persuasivi di questi tempi, che ha puntualizzato il tema della Questione meridionale in chiave dicotomica come estensione al Mezzogiorno continentale del sistema economico (e politica conseguente) che la dinastia sabauda aveva adottato “trattando come una colonia, ciò che colonia non avrebbe invece dovuto essere”; alla quale si dava poco e da cui si prendeva persino la dignità regale di meridionali a tutto tondo.
Occasione per levigare la dimensione della meridionalità, ribaltando la latitudine e longitudine di quel punto cardinale a sud, troppo in rivolta con sé stesso.
L’ammaliante comunicatore ha dato il meglio di sé su un tema ancora controverso per storici e divulgatori. Il “terrone” attualmente più persuasivo e convincente che ha avuto il merito di riedificare una diversa consapevolezza di questi temi all’interno della società, su argomentazioni “tecniche” tradizionalmente indicate per addetti ai lavori, ha invece dato in pasto ormai da anni questi temi che certamente sono storicamente molto più intricati e complessi di quello che appaiono e lo ha fatto porgendo il dato giornalistico o cronachistico. Che i Mille fossero “tutti criminali” (altro che studenti e volontari!) e la loro Spedizione fosse solo la testa d’ariete della colonizzazione e del saccheggio; che la guerra al brigantaggio fu la vera guerra contro il Sud che distrusse un Regno fiorente e liberale (!) che generò la mafia e l’emigrazione all’estero, portando morte e distruzione; può trovarci d’accordo oppure no; certamente discuterne, ragionarci e parlane, non può che servire. Certamente il Risorgimento, per decine di migliaia di italiani (molti dei quali giovanissimi), non fu vissuto come una conquista imperialista, ma come il tentativo di creare un paese nuovo, liberato dagli assolutismi e dagli autoritarismi dell’epoca. Così come si è soliti trascurare, che molti dei mali del Sud, che ancora incredibilmente persistono e che nel tempo si sono pesantemente aggravati, erano già presenti prima dell’Unità e rimasero irrisolti anche dopo, forse perché lo Stato unitario decise di affidare la burocrazia delle regioni meridionali ai vecchi burocrati del Regno delle Due Sicilie e non certo ai Democratici.
La meridionalità – deve essere altrettanto chiaro- è tema che si affronta con gli strumenti dello Studio, della Conoscenza, della Razionalità e soprattutto delle Fonti Bibliografiche assieme agli imprescindibili valori etici di riferimento, applicati alla Storia come alla Memoria.
Del resto la lobotomia culturale che priva (anche) i meridionali della consapevolezza di sé e della propria memoria è sempre latente perché “Noi non sappiamo (veramente) più chi fummo”.
Ma non si dovrebbero neanche derubricare gli “errori di prospettiva storica” cioè di collocazione del Risorgimento italiano, che pur impone invece la riconsiderazione di quella che è stata una delle parti del pensiero politico italiano sia pure – nelle sue più intriganti e molteplici sfaccettature- come un punto fermo dell’identità italiana complessiva.
Sotto un’apparente esagerazione dialettica, dovrebbe starci (e non sempre ci sta) un desiderio autentico di sentirsi meridionali, (alla stessa stregua del volersi sentire italiani o europei) per riscoprire ed appropriarci veramente della Storia, dell’Arte e della Cultura sino in fondo. Ecco perciò che dovrebbe starci la Ricerca e Conoscenza di Radici diverse e spesso “esclusive” come la ricchezza della propria Comprensibile “voglia di passato” senza forzarne un aspetto per adattarlo a un vuoto desiderio del presente privo di alcun riferimento.
La costruzione della minorità del Mezzogiorno, secondo Marco Paolini «trasforma la storia in geografia» e che la latitudine misuri il valore degli uomini, delle loro azioni, dei loro diritti è certo un valore, dal quale non possiamo prescindere.
Dunque proprio quando «Le identità plurali sono percepite dai nazionalismi come altrettante minacce» come scriveva Predrag Matvejevic ́ -che ci spiegava che è proprio nelle «nazioni venute tardi»,
come l’Italia, che «queste malattie di identità» colpiscono più facilmente – c’è più bisogno di riscoprire Radici e NON di armarle nella forbice del razzismo che gioca ad escludere e non ad avvicinarci.
La tardiva scoperta di essere meridionali ha rivelato un assurdo: i meridionali traggono il nome da quel che gli manca profondamente di più: il Sud stesso, quello cioè che porta con sé un’idea di gioia e di nostalgia, la prima data dal clima, dalla natura; la seconda (come accade, a volte, dopo un’amputazione) viene dal dolore per così dire “dell’arto fantasma” quello cioè che fa male anche che non c’è: perché è una negazione pesante, che a vario titolo tutti concorriamo a determinare.

Angela Maria Spina