il razzismo spiegato ai bambini nella favola di Maurizio Alfano.
— di Alfredo Arturi —
Nella suggestiva piazzetta di S. Pietro, ieri sera Maurizio Alfano ha presentato il proprio capolavoro “Il razzismo non è una favola”, libro illustrato che spiega, sotto forma di favola in rima, l’irrazionalità della xenofobia.
Dopo l’introduzione del vicepresidente dell’associazione “Il Megafono”, Dorotea Alfano, i saluti del vicesindaco Graziano Fusaro che ha ribadito la volontà dell’amministrazione di voler affrontare il fenomeno dell’immigrazione umanizzandolo. «Troppo spesso ci si specula, ci si arrocca dietro delle ideologie, ma si dimentica che parliamo di persone.» dice Fusaro, colpendo in pieno tutto l’assetto della serata «Il messaggio dell’amministrazione deve essere nuovo e in linea coi tempi. Essa deve essere aperta e pronta al dialogo». Al vicesindaco seguì l’assessore alla cultura Ornella Gallo, la quale ha attinto al suo bagaglio d’esperienza di lavoro da maestra, sottolineando l’importante messaggio pedagogico per i bambini i quali non nascono razzisti, ma che sviluppano un naturale senso di curiosità verso la diversità. Bisogna allora dare quel messaggio segnante che non porti all’esclusione ma alla scoperta e alla crescita reciproca. Intervento anche dell’assessore alle pari opportunità, Francesca Coschignano, che ha ricordato a tutti i presenti il troppo spesso dimenticato l’art. III della Costituzione Italiana, sottolineando anche lei di come la conoscenza dell’altro sia fondamentale per la conoscenza del proprio essere e di come Alfano sia riuscito a proporre una tematica complessa nel modo semplice e diretto di una favola, la quale anche qui comincia col classico “C’era una volta…”.
L’intervento della studentessa del Liceo Scientifico E. Siciliano Danila Baffa ha puntato sul secondo tema principale della serata, il bisogno della forza lavoro che il fenomeno ormai affermato porta. «L’integrazione risulta difficile, ma è gratificante aiutare in questo processo. Il razzismo per fortuna è sì presente in Italia, ma non vi è radicato al punto da non riuscire a combatterlo.»
Numerose le testimonianze dirette, portate da Maurizio Alfano: «Scrivo tra loro e con loro.».
Sonni, ad esempio, immigrato indiano che vive a Bisignano da 8 anni. Nonostante di diversa religione, dice di dover tutto a Sant’Umile: il fatto di avere un lavoro, di poter garantire una vita dignitosa alla sua famiglia che lo ha raggiunto dall’India. Per ringraziare il santo originario della cittadina ha deciso di chiamare il figlioletto nato in Calabria Umile.
Lamina Mane e Dramane Kontao sono invece giovani uomini sbarcati sulle nostre coste, entrambi vengono da centri di accoglienza straordinari (Lamina a Carolei, Dramane a Rogliano), entrambi in Italia da un anno e 5 mesi, entrambi hanno sofferto disgrazie indescrivibili. «Non è semplice lasciare il proprio paese d’origine» dice Lamina, senegalese, con un italiano da far invidia a molti “purosangue” «Hai lasciato dietro di te tutti i tuoi affetti, i tuoi genitori. Loro non sanno nulla di te, non sanno se sei arrivato vivo, non sanno se mangi, se hai un posto per dormire, se hai trovato qualcuno che ti vuole bene.» poi la sua toccante invocazione a chi ancora chiude gli occhi: «Perfavore, popolo italiano, perfavore, abbiate il coraggio di accoglierci. Non è facile. Non sono venuto a rubare il lavoro ai giovani, anche noi siamo giovani. Siamo persone come voi: i colori possono essere diversi, ma le idee e i sogni non lo sono. Il lavoro è lavoro.»
Poi il turno di Dramane, un giovane che sciolto riesce a dimostrare quanto sia istruito contrastando i pregiudizi di molti. In Mali ha fatto 13 anni di scuola, primo della classe, suo padre era funzionario pubblico. Aveva cominciato anche l’università , ci spiega. Poi arrivarono i terroristi, attentati quotidiani «Quello che è successo a Barcellona, per noi è solo un piccolo attacco. Ecco perché scappiamo. Se il tuo paese è patria di terrorismo, è molto peggio. Tutti i giorni un padre deve avere paura di morire lasciando moglie e figli. I miei amici d’infanzia, la mia vita che era tutt’altro che indegna. Perché avrei dovuto lasciare tutto questo? Sono venuto perché mio padre mi disse sempre che devo studiare. Sono venuto per studiare.
Il razzismo è ignoranza. Hai una laurea e punti il dito contro noi neri perché portiamo malattie. Non ci incontriamo tutti insieme allo stesso ospedale? Gli italiani non sono pure loro malati? Devi aprire gli occhi e la mente.
Noi non rubiamo il lavoro a nessuno: andate nelle campagne, voi con la vostra laurea avreste il coraggio di zappare la terra sotto il sole cocente? Questo non è rubare il lavoro. Non ho mai visto un poliziotto o un avvocato nero qui in Italia. E i soldi che guadagniamo li spendiamo fuori? Il commerciante dove compro le mie cose non è contento?
Essere oggi razzisti e contro la migrazione dei popoli è come vivere in Alaska ed essere contro la neve.» conclude il giovane maliano.
Un libro, insomma, che si propone di portare importanti tematiche, tematiche toccanti e complesse agli adulti passando per i bambini, «l’unico grimaldello per arrivare agli adulti è il bambino.» dice l’autore dopo le testimonianze. Il suo intento provocatorio è quello di eliminare la xenofobia, la paura del diverso accettandone la diversità e portare a pensare come parte del genere umano.
Una delle lettrici, la piccola Sabrina, dopo aver letto un passo del libro, risulta così emblematica: alla domanda se si sentisse più marocchina o italiana, essendo nata e cresciuta qui, lei risponde con la schiettezza tipica dei più piccoli: «Tutt’e due.»
Alfredo Arturi