PER LA FRONTE ANNERITA DI PAOLO: NO ALLA MAFIA E ALLE SUE OSTENTAZIONI

Messina Denaro, cialde “Zù Totò” e la speranza di Caponnetto

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Ci avevamo preso. Ben quattro mesi fa, su questa stessa testata, proponemmo una supposizione venuta fuori da ragionamenti basati su fatti: “e se, come il suo maestro Totò Riina, anche Matteo Messina Denaro avesse chiesto rifugio ai pastori della Sila o dell’Aspromonte?” (dall’articolo MERIDIONE, MAFIA E SUPER LATITANTI: MATTEO MESSINA DENARO, di F. Giovinco) La questione si rafforza sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti di ‘ndrangheta che, dal lontano 2001, facevano sapere quanto stretti e ottimi fossero i rapporti tra i massimi esponenti della mafia siciliana e della mafia calabrese, e che tutt’ora continuano a rendere concreto il sospetto che Messina Denaro possa nascondersi addirittura nei pressi di Cosenza, la provincia apparentemente più tranquilla della regione.

Il super latitante è considerato, per arte e per parte, degno erede dell’ormai defunto Totò Riina, anche se, pure il ruolo della donna di ‘ndrangheta si sta evolvendo, svolgendo essa non più un ruolo passivo ed efficiente ma un ruolo attivissimo e di comando, come dalle attuali cronache di Maria Angela di Trapani si evince. Ora, l’attenzione dei media, delle forze dell’ordine, degli oppositori e dei fan, si concentra sulla famiglia Riina e sulla “splendida” idea nata dalla figlia del boss, Maria Concetta Riina e di suo marito (attualmente agli arresti domiciliari) Antonino Ciavarello: il marchio “Zù Totò” in un negozio web gestito dai suddetti coniugi. La versione ufficiale del motivo di tale pensata imprenditoriale sarebbe: “Vogliamo commercializzare alcuni prodotti a marchio ‘Zù Totò’, iniziamo con le cialde di caffè, facciamo questa prevendita per raccogliere ordini e capitali che servono per avviarci, visto che ci hanno sequestrato tutto senza motivo”.

Povera gente, direi, se non fosse che per la magistratura siciliana che ha aperto e coordinato l’inchiesta sfociata poi nel sequestro tirato in causa dai coniugi Ciavarello-Riina, tale famiglia, attualmente residente in Puglia, avrebbe utilizzato le attività pugliesi per riciclare il denaro proveniente dalle attività illecite, quindi, di conseguenza, non avrebbe affatto problemi economici. A questo punto si potrebbe osare una versione ufficiosa: non sarà che col marchio Zù Totò si vuol rendere immortale un delinquente-stragista, dargli ancor più popolarità, renderlo parte della storia italiana quasi fosse un eroe e inculcare nella gente il culto della mafia e dei suoi falsissimi valori? Non è che si mira a delegittimare la Giustizia ed a legittimare e promuovere la mafia? Perché se così fosse e se questa pensata la si lasciasse passare, a nulla sarebbe servito lo sforzo e la morte di molti e a nulla sarebbero serviti i sacrifici e gli sforzi dei tanti che continuano a lavorare con caparbietà per sradicare la “Malapianta”, a nulla servirebbero gli arresti, se il sentire comune continuasse e/o iniziasse ex novo a fare il tifo per loro, addirittura con aiuti economici comperando cialde o olio, quest’ultimo novità della signora Riina che sulla sua bacheca facebook fa sapere: “Per chi un ci cala abbiamo anche olio extravergine d’oliva d’annata così su fanno scinniri”, riferendosi alle contestazioni udite contro la sua famiglia. Poco humor e molta strafottenza, quella di chi continua a sentirsi intoccabile, forte e intramontabile.

Ma alcuni uomini li distrussero, gli uomini del pool antimafia di Palermo istituito dal giudice Chinnici ed ereditato da Antonino Caponnetto dopo la sua barbara uccisione. Nell’anniversario della morte, per cause naturali, del giudice Caponnetto, ricordiamo le sue parole di delusione, quella che ha ogni uomo comune e le sue parole di speranza, quella che un Uomo non perde mai: “Non c’è più speranza…” e poi: “Era un momento particolare, di sconforto. Ero appena uscito dall’obitorio dove avevo baciato per l’ultima volta la fronte annerita di Paolo, quindi è umanamente comprensibile quel mio momento di cedimento, magari non scusabile, ma comprensibile! Forse avevo l’obbligo di raccogliere la fiaccola caduta dalle mani di Paolo, e di dare coraggio, di infondere fiducia a tutti. Invece furono i giovani di Palermo a darmela con la loro rabbia, determinazione, fiducia, e capii quanto avevo sbagliato nel pronunciare quelle parole di sconforto e quanto mi dovevo impegnare per continuare l’opera di Giovanni e Paolo.” IMPEGNAMOCI, SE LO MERITA LA GENTE PER BENE…SE LO MERITANO GIOVANNI, PAOLO E CHI RACCOLSE E RACCOGLIE LE LORO FIACCOLE.

Federica Giovinco