Conta o non conta l’esperienza e la gavetta per un allenatore? La domanda che più volte ci si è posti nel mondo del calcio trova in alcuni esempi la sua risposta.
Partiamo dalla massima eccezione, cioè Pep Guardiola. Eletto allenatore del Barcellona nel 2008 dopo un anno con la squadra B, ha vinto tutto quello che poteva vincere nella sua prima stagione catalana in un clamoroso quanto meritato Triplete. La sua esperienza ha convinto molti che promuovere un allenatore senza esperienza possa essere una mossa vincente.
I risultati contraddicono l’ipotesi. Alcuni si sono bruciati, altri solamente scottati. Montella dai giovanissimi della Roma alla prima squadra. Ferrara da vice di Lippi in Nazionale alla Juve. Luis Enrique, alla Roma direttamente dal Barça B. Stramaccioni, che pure aveva 12 anni di settore giovanile alle spalle, all’Inter. E poi i milanisti: Leonardo, Seedorf, ora Inzaghi. Che con i giovani rossoneri ha fatto bene, ma se perdi due partite di fila con la Primavera devi solo tirar su il morale ai tuoi ragazzi, e magari ti senti pure leader. Se ti capita con la prima squadra, i venti di tempesta rischiano di spazzarti via.
Del resto, il Milan poteva contare sull’esempio massimo. Passo indietro. Nell’estate 1991, Silvio Berlusconi ha l’intuizione giusta. Al posto di Arrigo Sacchi viene chiamato il «manager» della Polisportiva Mediolanum, Fabio Capello. Esperienze da tecnico? Qualche anno nel settore giovanile, un pugno di partite al posto di Liedholm nel 1986-87 e la promessa di non sedersi mai più in panchina. L’Inter, nel frattempo, aveva sostituito Trapattoni con Corrado Orrico, lui sì uomo della gavetta. La storia direbbe Orrico, ma i risultati dicono Capello.
Da lì in poi, il tricolore l’hanno conquistato solo tecnici con esperienza pluriennale: Lippi, Zaccheroni, Eriksson. Poi Ancelotti, che partì promuovendo in A la Reggiana e sopravvisse a una prima parte di stagione pessima con il Parma fino a issarlo al secondo posto. Mancini, che pure scatenò polemiche perché iniziò dalla Fiorentina senza patentino. Mourinho, ça va sans dire. Allegri, che s’è fatto 5 anni tra C2 e C1 prima di arrivare in A. E Antonio Conte, l’ultimo della lista, ha cominciato da vice di De Canio e Siena e poi s’è sporcato le mani con l’Arezzo – esonerato e richiamato – il Bari preso in corsa, l’esonero con l’Atalanta, il Siena. Posti dove non hai il campione che ti risolve la partita, dove magari devi adeguarti a giocatori non di primissima qualità, dove contano le idee e dove conta anche saperle cambiare in base alle esigenze. Chissà se il primo Conte avrebbe avuto la maturità di cambiare il proprio sistema di gioco preferito, il 4-2-4, al suo primo anno di Juve…
Armando Zavaglia