Le ragioni di un tracollo

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Il tracollo verdeoro trova le sue radici molto più in profondità rispetto alle semplici assenze di Thiago Silva e Neymar e, soprattutto, all’assenza di grandi talenti in questa generazione. Il declino del calcio bailado e toda joia comincia molto lontano, cioè quando la nazionale carioca comincia a modificarsi rispetto alle sue origini e cerca di adattarsi al calcio europeo che tanti risultati stava cominciando a raggiungere negli anni 70. Il Brasile del 1970, ultimo grande esempio di successo della filosofia carioca, era perfetta nel suo stile e nei suoi giocatori: la linea offensiva era costituita da cinque fenomeni con il numero 10, cioè Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè e Rivelino. I fasti di quella squadra straordinaria si smarriscono per diversi anni, con le edizioni tra il 1974 e il 1990 ricche di cocenti delusioni. La più grande Selecao di quegli anni è quella del 1982, quando in campo scendeva una nazionale ricca di talenti inarrivabili. Il Ct Tele Santana aveva nella propria formazione l’immenso Falcao, Socrates, Cerezo, Junior ecc., giocatori di altissimo livello che solamente “Pablito” Rossi riuscì a fermare in un memorabile Italia-Brasile 3-2.

Quella squadra, etichettata come “generazione di perdenti” fu seguita da nuove selezioni con un’impronta tipicamente europea. Basti pensare che il Ct Lazaroni nel 1990 porta al Mondiale una squadra con la difesa a cinque, mentre la vittoriosa Selecao del 1994 schierava una sfilza di mediani dietro Romario e Bebeto. Nell’edizione del 2002 in Corea e Giappone a vincere il quinto titolo mondiale fu una squadra non eccelsa ma che in attacco poteva contare sul trio Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho. Niente male..

Nel 2006 il Ct Parreira provò a far funzionare il quadrato magico costituito da Ronaldo, Ronaldinho, Adriano e Kakà, ma il progetto naufragò nei quarti di finale contro l’immensa prestazione di Zidane e della sua Francia. Arriviamo così al Sud Africa, dove il Ct Dunga fonda la sua squadra sul disastroso Felipe Melo e i risultati sono una nuova eliminazione ai quarti, questa volta contro l’Olanda.

La squadra di oggi era tra le favorite, invece, esclusivamente perchè padrona di casa, poiché sulla carta il suo undici titolare non era minimamente paragonabile ai Brasile precedenti. Molte sono però le colpe attribuite a Scolari riguardo diverse scelte ritenute errate. Innanzitutto l’aver puntato esclusivamente su Neymar, senza calcolare la possibilità che “O Ney” prendesse almeno un raffreddore. Scolari si è trovato impreparato quando si è infortunato Neymar e il tracollo di Belo Horizonte trova in questo motivo una delle sue cause principali.

Anche le convocazioni sono state contestate: Bernard, Willian e Jo sono buoni giocatori, ma di certo non hanno quella personalità che serve in una competizione del genere, soprattutto considerando che lo stesso Scolari in una delle prime conferenze stampa del mondiale aveva dichiarato che qualunque risultato che non corrispondesse alla vittoria sarebbe stato una sconfitta. Anche se nelle successive conferenze aveva provato a cambiare la sua versione, Felipao aveva ormai caricato di ulteriori responsabilità una squadra immatura per sopportarle. Sbagliata è stata anche la scelta di creare tensione tra la squadra e i giornalisti, isolando così ancora di più ragazzi che avevo bisogno di un clima diverso per affrontare più serenamente l’appuntamento con la Coppa del Mondo casalinga.

Anche la scelta del modulo è stata sbagliata: il 4-2-3-1 è durato poco, cioè fino a quando Paulinho è riuscito a gestire entrambe le fasi in maniera ottimale. Quando ciò non è più avvenuto (cioè sin da subito) bisognava passare al 4-3-3 per dare più equilibrio al centrocampo. In attacco è mancato tantissimo il peso di un attaccante con la A maiuscola: Fred è stato imbarazzante durante tutto il Mondiale, gol contro il Camerun a parte. Giocatori come Luis Fabiano (ottimo il suo Mondiale 2010) sarebbero stati sicuramente più utili.

Dopo la finalina di sabato la Selecao si affiderà a Adenor Leonardo Bacchi, detto Tite, campione del mondo con il Corinthians nel 2012. Si cercherà in questo nuovo corso di ritrovare quell’allegria e quello spettacolo tanto caro alla scuola brasiliana nel secolo scorso e ormai smarrito tra eccessivi tatticismi e improbabili metamorfosi. Resta il rimpianto che nel 2012 la Federazione brasiliana sia stata vicina a Pep Guardiola e abbia successivamente rinunciato al catalano scegliendo un allenatore brasiliano come da tradizione. Forse oggi avremmo parlato di un’altra storia sia per il Brasile e sia per il Tiqui taqua, una storia che avrebbe potuto tingere questa Coppa di verdeoro come invece non sarà.