L’estate scorre serena nelle campagne di Bisignano fra fichi, cicale, uccelli, sole, ranocchi e campi di frumento

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Con gli occhi chiusi ad ascoltare il cinguettare degli uccelli e quello di una cornacchia, più in lontananza, il frinire assordante e assillante delle cicale che annunciano il periodo delle ficazzane. La pianta di fico in questo periodo dell’anno dona i suoi primi succulenti frutti chiamati appunto fiori di fico o nel dialetto locale ficazzane.

I passeri volteggiano frenetici nel cielo, dal nido alla caccia per portar la miglior preda ai piccoli, devono sbrigarsi se vogliono arrivare all’autunno con una bella prole.

Il sole irradia i biondi campi di grano producendo all’orizzonte un tremolio termico dell’aria. È l’estate la stagione più bella in cui anche le cose più grigie si tingono di colore.

Frì, frì, frì, frì, frì, quant’è bello questo magico suono, cip, ciop, ciap, cep, non si comprende bene ma è qualcosa di sublime. Sotto la pineta, adiacente a un rudere, l’inebriante profumo di resina penetra nel naso attraverso una leggera arietta di miele.

Nella pianura, subito dopo il pendio, rimpiccioliti per la distanza a perdita d’occhio, i contadini lavorano i loro terreni. L’orecchio attento percepisce a distanza il rumore della zappa che gratta le erbacce o fa spazio all’acqua nel solco dei pomodori, delle melanzane, dei peperoni, dei cetrioli, e dei fagioli.

Che sensazione soave il rumore dello scorrere di un filo d’acqua all’interno della vasca per l’irrigazione dei campi.

Crà, crà, crà, crà, un piccolo rospo verde recrimina il suo territorio violato dalla presenza di uno scarpone umano in movimento. Con un balzo fa capire che non ha nessuna intenzione di farsi pestare e si tuffa nel piccolo stagno artificiale.

Bip, bip, bip, è il suono prodotto da una mietitrebbia che annuncia al manovratore di livellare la stabilità del mezzo altrimenti compromessa per il proseguimento della mietitura in una zona troppo scoscesa.

Nello spiazzo vicino i trattori si avvicendano per caricare il buon frutto che fuoriesce dal braccio mobile della mietitrebbia, “ooooooooh!” è il grido con il quale l’addetto di turno segnala il livello di frumento nel sacco. Szum, szzum, szzuumm, è il mostro meccanico dalla larga lama riparte alla volta del campo di grano.

All’ombra di un pioppo, dalle foglie chiare e scure, agitate dal vento, si stende a terra la tovaglia “du menziuarnu” cioè del pranzo agreste del mezzodì. Il fiasco del vino al centro, il cestino del pane, l’insalata di pomodori oliata e salata, salsiccia, capocollo e soppressata.

Che goduria la campagna, la pelle scura che può fare finalmente l’amore col sole, il viso che può parlare con il vento, la mente che può vaneggiare liberamente nell’aria, questa è l’estate un dono del Signore.

07/07/2014 – Alberto De Luca