Olimpiadi: la sfortuna di essere portabandiera

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Ora che le Olimpiadi di Federica Pellegrini si sono concluse – telegiornali “importanti” ne segnalano l’avvistamento sulla spiaggia di Jesolo – portandosi appresso il magro bottino di “zeru tituli”, possiamo concludere che l’Italia, quando parte per i giochi a cinque cerchi, porta con sé sempre una vera e propria certezza: gli farà da portabandiera alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi è destinato a una delusione. Se infatti andiamo a prendere le ultime nove edizioni dei Giochi vediamo che per ben otto volte il risultato del nostro alfiere è stato ad di sotto delle aspettative per quella tornata olimpica. Prendiamo a campione le ultime nove edizioni dei Giochi Olimpici, ovvero da Los Angeles 1984, perché in quella edizione si è tornati a sfilare dietro le bandiere, cosa che in occasione di Mosca 1980, visto il delicato clima politico di quegli anni, non è stata fatta. Allora, cominciamo.

A Los Angeles 1984 il nostro alfiere è Sara Simeoni, saltatrice in alto che alcuni anni prima aveva stabilito il record del mondo con la misura di mt 2,01. A Mosca era stata medaglia d’oro ed era campionessa Europea. Le ambizioni per una seconda medaglia d’oro c’erano tutte ed erano legittime. Tuttavia, la Simeoni arriva seconda, prendendosi una bellissima medaglia d’argento con un salto di 2 mt tondi tondi dietro alla tedesca Ulrike Meyfarth che supera di un misero centimetro il record della Simeoni. La medaglia è soddisfacente, ma era altrettanto legittimo aspettarsi di più.

Passiamo a Seoul 1988. Nella cerimonia di apertura sfila davanti a tutti Pietro Mennea. “La freccia del Sud” è agli ultimi scampoli di carriera, e l’onore di essere portabandiera sembra essere più un riconoscimento al passato che aspettative per i Giochi in corso. Tuttavia, il risultato di Mennea è comunque deludente: se quattro anni prima era comunque riuscito a centrare la finale dei 200 mt piani, questa volta si ferma addirittura nelle batterie di qualificazione. Il futuro dei nostri due alfieri finora citati sarà riassunto da Samuele Bersani: “Che vita! / Pietro Mennea e Sara Simeoni / son rivali alle elezioni“. Ciò, ovviamente, nulla toglie a due carriere straordinarie in un settore come quello dell’atletica leggera che dopo di loro è stato avaro di soddisfazioni per i nostri colori.

Nel 1992 ci sono le Olimpiadi di Barcellona, il portabandiera è un uomo che nei Giochi precedenti ha emozionato milioni di italiani: il canottiere Giuseppe Abbagnale. Insieme al fratello Carmine e con Giuseppe di Capua è il leader indiscusso della specialità “due con”. Infatti, sono otto anni che “non c’è trippa pe’ gatti”: oro a Los Angeles e oro anche a Seoul. Come può andare a Barcellona? Con il secondo posto, l’argento, che smorza una “tripletta” storica. Peccato.

Nel 1996 si torna negli USA per le Olimpiadi di Atlanta, e la bandiera viene consegnata a Giovanna Trillini, fiorettista dal valore indiscusso: è campionessa olimpica in carica e membro della squadra italiana di fioretto femminile che da Barcellona a Sidney non lascerà niente a nessuno, dove le schermitrici azzurre conquisteranno sempre l’oro. Ma nel singolare, nell’edizione americana dei Giochi dove avrebbe potuto tranquillamente bissare il successo spagnolo, si arrende in semifinale e dovrà “accontentarsi” del bronzo.

Le Olimpiadi del 2000 si spostano di emisfero per andare in Australia, a Sidney. Il portabandiera scelto ha un forte significato simbolico: infatti, ben prima di farci i problemi sull’italianità o meno di Balotelli, si decideva di far sfilare col tricolore Carlton Myers, capitano della squadra di basket azzurra. Ora, il basket italiano non ha mai brillato ad altissimi livelli, ma quella nazionale sa il fatto suo: è arrivata seconda all’Europeo in Spagna nel 1997 ed ha trionfato in quello ospitato in Francia, tenutosi appena l’anno prima; in soldoni, ci si presenta da campioni d’Europa in carica, pensare ad un buon piazzamento e forse addirittura alla medaglia non è utopia. E invece la nazionale di Myers, Fucka, Abbio e un giovanissimo Basile viene sconfitta ai quarti per tre miseri punti dai padroni di casa, risultando infine quinta in seguito agli spareggi.

Atene 2004, un’edizione strapiena di emozioni per i colori azzurri: basti ricordare la cerimonia di chiusura in cui risuona l’Inno di Mameli per omaggiare il vincitore della Maratona, Stefano Baldini. Ma alla cerimonia di apertura il nostro alfiere era niente meno che Jury Chechi. Dicevamo che è un’edizione particolare, e infatti lo è: è l’unica fra le ultime dove il nostro portabandiera va oltre le aspettative. Infatti Jury Chechi è fermo da anni, è tornato a gareggiare dopo una lunga serie di infortuni perché l’ha promesso a suo padre in punto di morte. La delegazione omaggia “Il Signore degli Anelli” con l’onore della bandiera. Ma Jury Chechi, che aveva saltato Barcellona e Sidney per infortunio, che si prepara a questo appuntamento da un’anno scarso, tira fuori a 36 anni una prestazione di assoluto valore e conquista la medaglia di bronzo. Onestamente era difficile pretendere di più.

A Pechino 2008 il nostro portabandiera è Antonio Rossi. Anche qui sembra trattarsi di una onorificenza al merito: Rossi ha quasi 39 anni. Inaspettatamente, col suo equipaggio del K4 1000 mt si qualifica alla finale di specialità col terzo tempo. A questo punto diventa legittimo sperare in una medaglia. Ma qui comincia la serie di delusioni da “medaglia di legno”: l’armo italiano in finale arriva quarto, a meno di un secondo di distacco. Di nuovo, peccato.

A Londra 2012 l’onore tocca ad una delle più grandi sportive italiane, Valentina “Lady Oscar” Vezzali. Al di là delle simpatiche battute con Berlusconi – “da lei, Presidente, mi farei toccare” – è indiscutibile il valore di una schermitrice che per oltre venti anni è stata ai vertici della disciplina: dall’argento ai mondiali di scherma del ’94 ad Atene, fino alla medaglia di uguale colore nei Mondiali a squadre tenutisi a Rio pochi mesi prima delle Olimpiadi attualmente in corso. In mezzo, ori Olimpici e Mondiali in gran quantità. Unica sbavatura, guarda caso, proprio a Londra, dove viene battuta in semifinale deve “accontentarsi” di un bronzo conquistato ad un secondo dalla fine. Completa comunque un podio tutto italiano per il fioretto femminile, con Elisa di Francisca e Arianna Errigo.

Il resto, come si suol dire, è storia, con la delusione di Federica Pellegrini a Rio 2016. Nella sua gara, i 200 mt stile libero, arriva quarta a pochi centesimi dal podio. Le rimane solo il dubbio se continuare o meno una splendida carriera, che ha portato il nuoto femminile italiano a vette impensabili prima: a soli 16 anni, ad Atene, vinse l’argento che non fu oro forse solo per una questione di inesperienza; infatti, non cambiando mai il lato per la respirazione non si rese conto delle avversarie in altre corsie.

Fra una settimana o poco più anche Rio chiuderà i battenti. Alla cerimonia di chiusura, quando è prevista una sfilata, si assegna l’onore di essere alfiere ad un atleta che ha conquistato un titolo importante. Vedremo a chi toccherà per l’Italia. Ma visto l’andazzo, credo che fra quattro anni i nostri sportivi faranno a gara per NON portare la bandiera a Tokyo 2020.