A volte si ha quasi l’impressione che i bisignanesi la canonizzazione del loro amato santo non l’abbiano ancora del tutto digerita, assecondandone certo la santità nelle sacre ricorrenze, ma mostrando chiaramente d’essere più devoti e affezionati all’idea di quel beato in qualche modo ancora non del tutto disancorato dalla sua terrenità, non del tutto cosa della chiesa, non del tutto disincarnato e reiterato in statuarie rappresentazioni dai presunti mille significati ma totalmente disanimate. Quasi che il tempo si fosse fermato a prima di quel 19 maggio del 2002. Quasi che tutto sia congelato. E la memoria corre a quel prima, quannu ‘a festa i ru Biat’Ummulu era qualcosa di più visceralmente e spiritualmente sentita, e non come negli ultimi anni che sembra esaurirsi nella solita quararella, nella solita fera (o fiera delle vanità per i soliti noti), nella solita fumera ‘i sazizza arrustuta, con quel desiderio malcelato di accontentare e accontentarsi, ma nello stesso tempo di ridurre tutto in svendita. Sembra quasi che, in questi ultimi anni (e forse anche da qualche anno prima), l’acqua non scorra più sotto i ponti, ma vi si fermi in mulinelli che si inabissano e scavano, scavano, scavano. Non che il volto del paese non sia cambiato (se volete anche in peggio) o che gli stessi bisignanesi non siano cambiati (per alcune cose in meglio per molte altre in peggio) ma è il tempo che ti e ci frega. Il tempo che non scorre più, sospeso tra un passato imbalsamato e l’attesa. L’attesa non del futuro ma del suo annuncio, della promessa di un futuro cristallizzato in un’amena cornice da grande evento in diretta televisiva, come quando è entrato in vigore l’euro, come quando si è passati al digitale, come quando l’Italia si gioca la finale dei mondiali. Tutti in attesa del miracolo, di un miracolo, e soprattutto di far parte del novero dei miracolati. Ed in ogni giorno che passa il convento a questuare e contrattare, in attesa che il governo cancelli l’IMU, che tu trovi un posto letto all’ospedale, che la benzina non rincari, che Miss Italia ci sia ancora, che la spazzatura… l’acqua…, la scuola…, il tuo lavoro… che Belen… Liberi forse ma forse anche infelici, tutti con uno zaino sulle spalle di paure e nelle gambe altrettante speranze di vie di fuga, nel cuore un dolore e forse una supplica a Sant’Umile, e nelle mani un portafoglio inesauribile di (im)possibilità di consumare e consumarsi, condannati a scambiare il vivere con il sopravvivere. Sopravvivere prima di tutto a se stessi.
Rosario Lombardo