Quando si voleva fare i guastafeste sul festival di SanRemo, si diceva qualcosa del tipo “aspettiamo un mesetto e vediamo se le vendite corrispondono al risultato”. A bocce ferme, ora proviamo a fare un raffronto simile anche col più importante premio letterario italiano, il Premio Strega, che è stato assegnato a Venezia il 3 luglio.
Innanzi tutto ricordiamo quale era la cinquina finalista:
- “Il desiderio di essere come tutti” di Francesco Piccolo, edito da Einaudi– Vincitore;
- “Il padre infedele” di Antonio Scurati, edito da Bompiani;
- “La vita in tempo di pace” di Antonio Pecoraro, edito da Ponte delle Grazie;
- “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella, edito da Feltrinelli;
- “Lisario o Il piacere infinito delle donne” di Antonella Cilento, edito da Mondadori.
Se leggendo questo elenco fate fatica a scorgere un titolo che vi ricordate – vincitore a parte – è perché questi libri non hanno venduto poi molto. Certo, lo “Strega” non è un premio alle vendite ma alla (presunta) qualità, ma in Italia – un paese dove legge poco anche pretende di scrivere – solo due cose riescono a far impennare le vendite di un libro: il Premio Strega e “Chetempochefa” di Fabio Fazio, riconosciuto come l’unico salotto televisivo con un certo ascolto dove i libri riescono a entrare con una certa continuità.
Ecco, Francesco Piccolo e il suo “Il desiderio di essere come tutti” hanno entrambe le ‘patenti’ (da Fazio addirittura due presenze), e ad un mese dalla premiazione è infatti ancora l’unico a farsi trovare nelle classifiche di vendite settimanali, fra l’8° e la 10° posizione, che dalla pubblicazione ad oggi ha venduto circa 48mila copie. Gli altri finalisti, semplicemente, sono spariti dai radar.
Cosa dedurne? Che probabilmente la televisione ha sul pubblico un impatto maggiore del Premio, e che in un paese di lettori occasionali la pubblicità sul mezzo più nazionalpopolare è quella che rende maggiormente. D’altra parte, non potrebbe essere altrimenti vista la lenta agonia del Premio Strega, che da sogno di ogni scrittore si è trasformato in affare privato di una cerchia sempre più ristretta.
Innanzi tutto sono le case editrici che scelgono quale loro libro proporre alla giuria; singolare a questo proposito che Mondadori abbia deciso di far concorrere un libro che è stato pubblicato solo 15 giorni prima della chiusura stagionale. Inoltre, molti degli “Amici della Domenica” sono legati (o lo sono stati) alle case editrici e alla Fondazione Bellonci che gestisce il Premio. Per coincidenza, è proprio il caso di Francesco Piccolo, che fino all’anno scorso collaborava con la Bellonci. Antonio Scurati, secondo classificato, ha bellamente ricopiato un intero passaggio – una scena di sesso, peraltro – dal suo precedente “Il bambino che sognava la fine del mondo”; come un qualunque scolaretto, ne ha cambiato giusto qualche parola per non farsi beccare dalla maestra (per avere un raffronto, vi rimandiamo a questo interessante articolo di Pippo Russo su “Satisfiction”).
Il Premio Strega è in decadenza come tutto il mercato editoriale, che nel 2014 ha visto calare le sue vendite di circa un milione e mezzo di unità. È ovvio che in tempo di crisi le prime spese a venir tagliate sono quelle “accessorie”, ma questo va ad aggravare una situazione che già prima era tutt’altro che rosea.
Per il futuro? Alla direzione della Fondazione Bellonci siede da un anno Stefano Petrocchi, che promette di cambiare qualcosa nel sistema, soprattutto negli “Amici della Domenica”, che come dicevamo prima sono spesso intrallazzati in modi che non dovrebbero. Manterrà la parola? Ci riuscirà? Lo vedremo fra un anno circa.
Mario Iaquinta