Un cattivo odore acidulo, probabilmente di piscio di animali, senza escludere qualche altra anomala aggiunta, si diffonde per tutta la valle, a Nord del fiume Crati, risalendo i valloni, fino a raggiungere le contrade di campagna, a monte di Bisignano.
Anche, sostando davanti a un noto ristorante della zona, mentre si degustano i prodotti tipici della ristorazione locale, un forte tanfo di orina, misto a uno strano odore di antibiotico, tipo il Clavulin, oppure l’Amoxcillina, accompagna le serate dei clienti, fresche, umide e le giornate torride.
Non si sa con esattezza, come possa sorgere, a pochi chilometri dalla stalla, un’altra struttura di ristorazione e soprattutto com’è possibile mangiare un pasto immersi nella nauseabonda brezza che caratterizza tutto il circondario.
Tuttavia, gli abitanti di quelle contrade, pur subendo tutti i giorni l’insolente condizione, anche nelle serate del barbecue, preferiscono non professar parola.
Almeno per il momento e così pare.
Infatti, sono molti anni che esiste quella stalla e nonostante le condizioni di evidente disagio, pochi sono stati i soggetti che si sono prodigati a fare qualcosa, quasi nessuno ha da lamentarsi, di fronte all’evidenza.
A tal proposito, sarebbe interessante sapere la storia di quel luogo, l’attuale natura, e soprattutto andare a ricercare nella memoria documentaria la provenienza di quella struttura zootecnica, con tutte le peripezie a questa annesse.
Ossia, prima di arrivare a Bisignano, quella data attività, da dove proveniva?
O per esempio, domandarsi il perché e a quali condizioni è stato possibile ospitare sul territorio bisignanese tale medesima struttura.
Domande semplicissime, quasi stupide, per certi versi anche tendenziose, attraverso le quali, però, arrivare a delle risposte interessanti, che naturalmente, si offrono alla riflessione di ogni individuo, residente in quella zona, senza voler necessariamente insinuare nulla.
Anzi, c’è chi sostiene che quella puzza, ripugnante, è un toccasana per la salute, simile ai fanghi sulfurei, con la sola differenza, che nel caso specifico, si tratta di odori sprigionati da porcheria, non propriamente del tutto identificata.
L’aria che si respira è intrisa degli odori sopra esposti e qualsiasi cosa venga a contatto con il clima esterno si contamina inevitabilmente del nauseante odore.
L’odore pungente, insieme a una miriade di altre sostanze, contenute nel pulviscolo atmosferico, anche non del tutto identificate, che caratterizzano tutto l’ambiente circostante, si attaccano su indumenti, tovaglie, lenzuola, capelli, abitacoli degli autoveicoli, case, negozi, bar, fino a posarsi persino sui prodotti agricoli e sui cibi che in generale s’ingeriscono quotidianamente. Per non parlare dei malcapitati sofferenti di gravi forme di allergia, i quali sono costretti a raddoppiare le dosi degli antistaminici per contrastare asma e riniti.
Dovrebbe intervenire l’ASL? Oppure, altri organi competenti?
Macché, neppure a pensarci!
In fondo, le allergie, i tumori, le malattie connesse a tali ambienti, che cosa sono in confronto a chi lavora con dedizione per il proprio fatturato e crea posti di lavoro, ipoteticamente, per tutti?
Che cosa importa se muoiono tutti?
L’importante è costruire il proprio profitto, demolendo tutto ciò che esiste intorno.
Insomma, tutto appare contaminato, l’aria, gli spazi, la gente, anche il bacio fra due innamorati, trafugato in quei luoghi, ha l’odore di piscio.
Del resto, quello è un territorio per uso agricolo e zootecnico, quindi, ormai idoneo solamente all’accoppiamento degli animali.
Peccato che, anche per gli animali, la vita in quella “zona” non risulti troppo rosea.
17/06/2014 – De Luca Alberto