Un tempo gli uomini erano in grado di parlare. Odiernamente non possiamo non notare la totale compressione dei rapporti intersoggettivi e delle relazioni sociali, interamente stigmatizzati, come fossero soggetti devianti, dal costante avanzare della tecnica che, contrariamente alle iniziali aspettative di elusione del numero di Dunbar, oggi si ritrova ad essere una scatola ermetica che imprigiona la comunicazione ed il contatto. Ormai troppo spesso le persone si sentono protette dietro un monitor, così tanto, forse, da annullare completamente la propria personalità, diventando robotici strumenti in costante osmosi con le macchine, non uomini, né donne. Immobili osserviamo la trasformazione del dualismo uomo-macchina in una vera dicotomia, infatti, la tecnologia schiaccia l’umanità, annulla i sentimenti, ci porta all’apatia, ci trasforma in statue di vetro con lo sguardo diretto ad un mondo in simbiosi con la passività telematica, privo di azioni relazionali; tutto scorre ma noi restiamo fermi. L’eziologia della regressione sociale e dei comportamenti testè indicati è la pedissequa ricerca verso l’ignoto, nonché la propensione al desiderio di nuove amicizie, nuove esperienze e nuove avventure: tutto è virtuale, non esiste. Hanno milioni di amici ma sono lupi senza branco che seguono i fiumi per ritrovare la loro direzione, alla ricerca costante di finte adesioni e manifestazioni di volontà forzate. La massificazione è solo nei comportamenti, non nei fatti. Radicale è la tendenza all’alienazione del soggetto che si isola dagli altri sentendoli vicini grazie ai social; sono soli ma sono convinti di non esserlo. La funzione della tecnologia dovrebbe essere quella di colmare le distanze, ma, a ben riflettere, ci troviamo di fronte un paradosso: le distanze vengono colmate ma le vicinanze sono sempre più lontane. Questo coevo atteggiamento passivo di vivere sta rovinando una generazione che tra qualche anno non sarà più in grado di parlare, ai figli non si insegnerà il linguaggio ma l’uso della tastiera, cercheremo moglie o marito su una mera piattaforma digitale non sentendo più il brivido del provare a strappare un bacio oppure la paura di “sentirsi dir di no”, il nostro lavoro sarà in costante e programmatica collaborazione forzata con le macchine, ne diverremo dipendenti e scenderemo a compromessi pur di non vederle andare via. La soluzione a questo apocalisse sociale potrebbe essere un’apologia rafforzata ai “mores ancestrali”, la voglia di tornare a parlare, di fermare una ragazza per strada con le vecchie scuse, ma sopratutto la voglia di sentirsi ancora uomini e donne, di guardare il mondo con spirito critico e in prima persona, vivendolo realmente, non telematicamente. Einstein disse: “temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità”. Quel giorno forse è arrivato. L’uomo è sempre più geniale, ma il troppo genio potrebbe rischiare la creazione di qualcosa di incontrollabile, più grande di noi. Se riflettiamo bene stiamo creando un nuovo mondo asfittico, un nuovo modo di pensare e di relazionarci che potrebbe causare la perdita della socialità in senso stretto. il progresso è sempre la principale causa del regresso, non dimentichiamolo.
di Francesco Ferdinando Cristarella Oristano